Rendere Grazie.
Vivere è rendere grazie.
Amare è rendere grazie.
Rendere grazie,
per essere vivi,
per aiutare il prossimo,
per lavorare con il cuore.
Rendere grazie,
per tutto,
e tutte quelle cose che ti succedono nella vita.
Anche se ogni tanto è difficile rendere grazie.
Ricordati che loro ti aiutano anche nei momenti più difficili della tua vita.
Rendere grazie, significa pregare.
domenica 20 marzo 2011
Aforismi
L'apparire
non lascia nessuna traccia, anzi.Essere vere significa non certo apparire ma ESSERE
(Franco Castelli.)
Franco Castelli:Diceva un grande poeta: non chi più sa ma gode, conosce.
(Gabriele D'Annunzio.)
Essere nella normalità. \ San Marco 18\03\2011
Pubblicato da simona pimpi il Ven, 18/03/2011 - 22:43
Essere nella normalità,
oggi come oggi non è facile.
Tra Idolatrie sbagliate, e gente che ti cerca di manipolare.
Tutti cercano in te il meglio; ma ogni tanto fai vedere il peggio del tuo carattere;
Forse perché non hai il coraggio di affrontare la realtà, forse perché non riesci ad esporre i tuoi pensieri, e metterli fuori sottoforma di discordo.
Le apparenze che nella vita offuscato la visuale a 365 gradi.
Le apparenze nella vita non servono; si può essere di gran classe, ma non si può apparire.
Ma ogni tanto oggi come oggi apparire è la parola più gettonata del vocabolario.
Ogni tanto le donne di gran classe sono di apparenza.
L'apparenza inganna; la superficialità fa male; molto male anche se io nel mio passato l'ho usata, ma non la volevo usare in mala fede.
Essere nella normalità significa non crearsi tanti castelli di sabbia nel cielo, non avere tante aspettative nella vita;
perché la vita stessa ti da tante prove e tu queste le devi saper affrontare.
Essere nella normalità significa essere se stessi sempre.
non lascia nessuna traccia, anzi.Essere vere significa non certo apparire ma ESSERE
(Franco Castelli.)
Franco Castelli:Diceva un grande poeta: non chi più sa ma gode, conosce.
(Gabriele D'Annunzio.)
Essere nella normalità. \ San Marco 18\03\2011
Pubblicato da simona pimpi il Ven, 18/03/2011 - 22:43
Essere nella normalità,
oggi come oggi non è facile.
Tra Idolatrie sbagliate, e gente che ti cerca di manipolare.
Tutti cercano in te il meglio; ma ogni tanto fai vedere il peggio del tuo carattere;
Forse perché non hai il coraggio di affrontare la realtà, forse perché non riesci ad esporre i tuoi pensieri, e metterli fuori sottoforma di discordo.
Le apparenze che nella vita offuscato la visuale a 365 gradi.
Le apparenze nella vita non servono; si può essere di gran classe, ma non si può apparire.
Ma ogni tanto oggi come oggi apparire è la parola più gettonata del vocabolario.
Ogni tanto le donne di gran classe sono di apparenza.
L'apparenza inganna; la superficialità fa male; molto male anche se io nel mio passato l'ho usata, ma non la volevo usare in mala fede.
Essere nella normalità significa non crearsi tanti castelli di sabbia nel cielo, non avere tante aspettative nella vita;
perché la vita stessa ti da tante prove e tu queste le devi saper affrontare.
Essere nella normalità significa essere se stessi sempre.
martedì 8 marzo 2011
Paul Cézanne
« La tesi da sviluppare è, qualsiasi sia il nostro temperamento o capacità di fronte alla natura, riprodurre ciò che vediamo, dimenticando tutto quello che c'è stato prima di noi. Il che, penso, permette all'artista di esprimere tutta la sua personalità, grande o piccola »
(Cézanne, lettera a Émile Bernard, 23 ottobre 1905)
Paul Cézanne nel 1861
Paul Cézanne (Aix-en-Provence, 19 gennaio 1839 – Aix-en-Provence, 22 ottobre 1906) è stato un pittore francese.
Indice [nascondi]
1 Biografia
1.1 Primi anni
1.2 Il periodo romantico
1.3 Il periodo impressionista
1.4 Il periodo costruttivo
2 Ultimi anni
3 Curiosità
4 Opere
4.1 1860-1869
4.2 1870-1879
4.3 1880-1889
4.4 1890-1899
4.5 1900-1906
5 Note
6 Bibliografia
7 Altri progetti
Biografia [modifica] Primi anni [modifica] Il padre di Paul Cézanne, 1866Paul Cézanne, che ebbe antenati piemontesi, originari di Cesana[1], fu il primogenito di Louis Auguste, proprietario di una fabbrica di cappelli, e di Anne Elisabeth Honorine Aubert, operaia nella stessa fabbrica: i suoi genitori si erano sposati il 29 gennaio 1844, dopo la nascita di un'altra figlia, Marie; nel 1848, Louis Auguste Cézanne fondò con un socio la banca "Cézanne et Cabassol".
In una famiglia che godeva di notevole agiatezza, Paul poté frequentare le migliori scuole: dopo gli studi primari dal 1844 al 1849, dal 1849 al 1852 al pensionato Saint Joseph, entrò nel Collège Bourbon - oggi Mignet - dove ricevette un'istruzione umanistica, ed ebbe per compagni, fra gli altri, Émile Zola - che viveva allora ad Aix con la madre - con il quale si legò di profonda amicizia. Lo stesso scrittore ricorda quell'amicizia di adolescenti intellettuali: «Avevamo libri in tasca e nelle borse. Per un anno, Victor Hugo regnò su di noi come un monarca assoluto. Ci aveva conquistato con le sue forti andature di gigante, ci rapiva con la sua retorica potente». E dalla passione per Victor Hugo passarono a quella per de Musset: «De Musset ci sedusse con la sua spavalderia di monello di genio. I Racconti d'Italia e di Spagna ci trasportarono in un romanticismo beffardo, che ci riposò, senza che ce ne rendessimo conto, del convinto romanticismo di Victor Hugo». Questa sua formazione spirituale improntata al romanticismo - Cézanne scrisse anche poesie, che fece leggere a Zola - non fu senza conseguenze nelle sue scelte pittoriche.
Ancor prima di conseguire, nel 1859, il baccalauréat, frequentò dal 1856 l'École de Dessin di Aix, conseguendo un secondo premio in disegno, e studiò musica, suonando, insieme con Zola, in un'orchestra.
Il periodo romantico [modifica]Dopo un breve soggiorno a Parigi, insieme con Zola e con Jean-Baptistin Baille, altro suo compagno di collegio, tornò ad Aix per iscriversi, ma soltanto per assecondare il desiderio del padre, alla Facoltà di legge. Zola era rimasto a Parigi e i due amici mantennero un fitto contatto epistolare, quando pure Cézanne non andava quasi mai a fargli visita nella citta capitale. Da tempo stava pensando di dedicarsi alla pittura e nel 1859, nella casa di campagna presso Aix, chiamata Jas de Bouffan, organizzò il suo studio di pittore. Se il padre - borghese pratico che sapeva valutare il certo e l'incerto - era ostile a quell'attività che faceva trascurare al figlio una possibile, fruttuosa carriera legale, Paul veniva incoraggiato dalla madre e dalla sorella Marie. Frequentò una piccola cerchia di artisti, formata dai pittori Emperaire e Villevieille, dallo scultore Solari, dallo scrittore Gasquet, suo futuro biografo, e dal critico d'arte Valabrègue.
Fu esonerato dal servizio militare nel 1860 e smise di frequentare l'università. Nella sala della casa di campagna dipinse in uno stile «che fa pensare a un maldestro affresco di uno strano quattrocentista» [2], le Quattro stagioni, firmate scherzosamente Ingres, oggi trasportate su tela e conservate al Petit Palais di Parigi.
Monaco domenicano, ca 1865Ottenuto dal padre il permesso di recarsi a Parigi, da aprile a settembre vi frequentò l' Académie Suisse, visitando frequentemente il Louvre e il Salon, attratto dai pittori del naturalismo storico alla Meissonier. Dopo aver cercato invano di entrare nella prestigiosa École des Beaux-Arts, ritornò ad Aix per riprendere i corsi di disegno e lavorare, senza nessun interesse, nella banca del padre. La lasciò tuttavia l'anno successivo per tornare nuovamente a Parigi e riprendere i corsi dell' Académie Suisse; qui fece la conoscenza dei pittori Bazille, Monet, Pissarro, Renoir, Sisley.
Nel maggio 1863 visitò con Zola il Salon des Refusés – l’esposizione dei dipinti rifiutati dal Salone ufficiale, che ispirava le scelte delle opere a criteri accademici, favorendo la pittura tradizionale - ma era attratto soprattutto dagli artisti che poteva ammirare al Louvre: qui si esercitava copiando i classici della pittura, da Caravaggio a El Greco, dai cinquecentisti veneti fino ai moderni Delacroix, Daumier, Corot e Courbet. Tornò ad Aix nel 1864 e a intervalli soggiornò in varie località della Francia.
Al Salon del 1865 – quello che vide lo «scandalo» dell’ Olympia di Manet - inviò un’opera che venne però rifiutata, mentre Zola pubblicò il romanzo La confession de Claude, dedicato a lui e a Baille. Nella presentazione del libro ad Aix, Marius Roux, amico di Cézanne e di Zola, scrive che «grande ammiratore dei Ribera e degli Zurbarán, il nostro pittore procede solo da sé stesso, dando alle sue opere un timbro particolare. Io l’ho visto all’opera nel suo atelier, e se non posso ancora predirgli il brillante successo di coloro che l’ammirano, sono però certo di una cosa, che la sua opera non sarà mai mediocre». [3]
In quest'anno dipinse i nove, energici ritratti dell' oncle Dominique, lo zio materno Dominique Aubert, costruiti utilizzando largamente la spatola per dare intensità al colore e senso del volume alla tela e, pur in assenza di contrasti di luce, «l'immagine è fortemente pronunciata, e benché il problema spaziale sia qui assente, almeno come problema di spazio-colore, come sarà invece dopo la lezione impressionista, l'immagine si determina in una sua consistenza, squadrata e sintetizzata, anticipazione di quell'organicità monumentale che Cézanne raggiungerà in pieno dopo il 1880». [4]
Dopo che fu nuovamente rifiutato al Salon del 1866 un suo dipinto, il Ritratto di Anthony Valabrègue, uno scrittore suo amico, Cézanne scrisse all’intendente delle Belle Arti, responsabile della scelta dei dipinti, una lettera di protesta, dichiarando di rifiutare il giudizio della giuria e di voler esporre egualmente le sue opere: «Non mi sembra che il mio desiderio abbia nulla di esorbitante e se voi chiedeste a tutti i pittori che si trovano nella mia posizione, vi risponderebbero tutti di rifiutare la giuria e di voler partecipare in un modo o in un altro a un’esposizione che deve essere necessariamente aperta a tutti coloro che lavorano seriamente». [5].
Hortensie Fiquet, 1877é è questo il periodo in cui Cézanne cercava uno stile personale, fuori da ogni accademicismo e da ogni scuola, ma i riferimenti ad artisti da lui conosciuti e studiati si rilevano egualmente: oltre ad aver appreso il disegno accademico all’Ecole des Beaux-Arts di Aix da Joseph Gibert, le sue prime tele mostrano richiami ad alcuni pittori provenzali, come Émile Loubon – tele di questo pittore sono esposte nel Museo di Aix – all’allievo di questi, Monticelli e a Paul Guigou, due pittori di gusto romantico, e anche al ben più noto Daumier, artista che sintetizza in sé il romanticismo di Delacroix e il realismo di Courbet, i due grandi maestri ammirati da Cézanne.
Délacroix gli mostrò come aprire le forme, che la tradizione accademica conserva nella chiusura della plasticità, costruendole secondo le vibrazioni del colore sotto gli effetti della luce: di lui Cézanne disse che era «la più bella tavolozza di Francia» e che nessuno in Francia, come Délacroix, aveva avuto il senso della «vibrazione del colore. Noi tutti dipingiamo seguendo lui», [6] mentre la lezione di Courbet gli servì da correttivo agli eccessi romantici di Delacroix.
Dal 1866 al 1870 si divise tra Aix e Parigi: qui conobbe e convisse, senza che la famiglia sapesse nulla, con una giovane parigina, Hortense Fiquet. Allo scoppio della guerra franco-prussiana si trovava ad Aix, ma poi, per sei mesi, si stabilì con Hortense a L'Estaque, un villaggio di pescatori presso Marsiglia e, alla fine della guerra e della Rivoluzione comunarda, ritornò a Parigi, dopo aver evitato l'arruolamento grazie al padre che pagò un sostituto del figlio alla leva, come consentito dalle leggi allora in vigore.
Il periodo impressionista [modifica] La casa dell'impiccato, 1873Nella capitale, il 4 gennaio, nacque il figlio Paul; Cézanne, prima di trasferirsi per due anni con la famiglia ad Auvers-sur-Oise, soggiornò alcuni mesi a Pontoise, il paese di Pissarro, col quale dipingeva, en plein air e a volte anche gli stessi temi, quali La cöte des boeufs a Pontoise o Il sentiero del torrente a Pontoise, ora all'Ermitage di San Pietroburgo, mentre il suo Louvanciennes è persino una copia di un dipinto di Pissarro. Questi scrisse in quel tempo che Cézanne «ci dà speranze e ho visto e ho con me una pittura di un vigore e di una forza notevole». [7]Pissarro gli insegnò a porsi davanti al soggetto con obiettività, strutturandolo liberamente sulla tela senza imposizioni di sovrastrutture letterarie, in modo da renderlo solo successivamente secondo il proprio spirito, con l'utilizzo di mezzi puramente pittorici, come le tonalità del colore e le vibrazioni della luce.
Il risultato più alto di questa esperienza, che è alla base del nuovo indirizzo intrapreso da Cézanne, è La casa dell'impiccato a Auvers: «Lo spazio non è più amorfo, ma la vibrazione luminosa, ottenuta nonostante il consueto spessore della materia, lo rende quasi compatto, come una massa che però non ha pesantezza, ma corposità, data la finezza dei passaggi. È la luce che crea questa sintesi tra volume e spazio, una sintesi che dà alle cose [...] il senso della loro 'durata reale', del ripercuotersi nella coscienza. Cézanne ha fuso il suo concetto di monumentalità [...] con il desiderio di struttura appreso da Pissarro e naturalmente va oltre, perché non si contenta di una dimensione puramente ottica delle sue immagini, ma è già in cerca di una dimensione emotiva della forma». [8]
Tornato a Parigi nel 1874 per partecipare alla prima mostra degli impressionisti, vi presentò La casa dell'impiccato e Una moderna Olympia, senza però ottenere, come gli altri espositori di indirizzo impressionista, alcun successo. Per quanto Cézanne accettasse l'impressionismo e ne condividesse gli obiettivi, non si identificava con esso e i suoi risultati sono infatti diversi: la rappresentazione della realtà mediante la vibrazione luminosa e cromatica non disfa e svuota la forma, ma assicura compattezza ed esalta i volumi; del resto, gli stessi impressionisti - a parte Pissarro, Monet e Renoir - mostravano diffidenza verso la sua pittura.
Victor Chocquet, 1877Cézanne - che continuava a dividere il suo tempo tra Parigi, Aix, Pontoise, Auvers e l'Estaque - non partecipò alla seconda mostra degli Impressionisti, tenuta nel 1876; in compenso prese parte alla terza mostra nel 1877, presentando sedici dipinti, in maggioranza acquarelli, e ottenendo la consueta disapprovazione dei critici, anche di quelli che guardavano con interesse e comprensione al movimento impressionista. Fece eccezione Georges Rivière, che scrisse di lui: «L'artista più attaccato, più maltrattato da quindici anni dalla stampa e dal pubblico, è Cézanne. Egli è, nelle sue opere, un Greco della belle époque; le sue tele hanno la calma, la serenità eroica delle pitture e delle terrecotte antiche, e gli ignoranti che ridono davanti alle Bagnanti, per esempio, mi fanno l'effetto dei Barbari che criticano il Partenone. Il signor Cézanne è un pittore e un grande pittore. Coloro che non hanno mai tenuto in mano una pennellessa o una matita hanno detto che non sa disegnare, e gli hanno rimproverato delle imperfezioni che non sono che un raffinamento ottenuto attraverso un'enorme scienza [...] la sua pittura ha l'inesprimibile fascino dell'antichità biblica e greca, i movimenti dei personaggi sono semplici e grandi come nelle sculture antiche, i paesaggi hanno una maestà imponente, e le sue nature morte così belle, così esatte nei rapporti tonali hanno, nella loro verità, qualcosa di solenne. In tutti i suoi dipinti, l'artista commuove, perché egli stesso prova, davanti alla natura, un'emozione violenta che l'abilità trasmette alla tela». [9]
In quella mostra Cézanne presentò anche il Ritratto di Victor Chocquet, suo amico che lo incoraggiava comprandogli anche delle tele. La somiglianza del Chocquet con un criminale di nome Billoir, allora molto noto alle cronache, diede occasione al pubblico di ribattezzare ironicamente l'opera Billoir al cioccolato. Ma per il Venturi questo ritratto - immagine di uomo serio, sensibile, dotato di profonda vita morale - è un esempio della raggiunta unità in Cézanne, attraverso i valori propri dell'Impressionismo, di pittura e umanità, di oggetto che raggiunge il valore dell'arte in quanto in esso sono rappresentati i valori dello spirito. «Le carni rossastre risaltano sopra un fondo di verde chiaro; effetto dunque di tono scuro su chiaro. I tocchi, anche se spessi di colore, variano perché la luce possa vibrare, anzi possa essa stessa formare l'immagine». [10]
I continui insuccessi, tanto alle mostre degli impressionisti quanto presso i Salons "ufficiali", che continuavano a respingere regolarmente le opere che Cézanne si ostinava ad inviare, lo portarono a un periodo di isolamento, aggravato anche dai contrasti con il padre il quale, già disapprovando la convivenza del figlio con Hortense, quando venne a conoscenza della nascita di un bambino, giunse a ridurgli gli aiuti economici che fino ad allora non aveva mancato di fargli pervenire. Cézanne continuò a mantenere rapporti soltanto con la madre e, a Médan, con Zola, mentre per il resto dell'anno viveva a Estaque
Il periodo costruttivo [modifica] Autoritratto, 1881.Nella pittura romantica la realtà viene trasformata coscientemente dall’artista in una sua realtà: la percezione di essa è solo la base dell’elaborazione personale del pittore; nell’impressionismo, al contrario, la realtà deve essere costituita unicamente dalla percezione degli oggetti: quanto più immediatamente la percezione viene afferrata e trasmessa nella tela, senza interventi perturbatori della riflessione personale del pittore, tanto più esatta sarà, secondo l'impressionista, la riproduzione della realtà.
Questa consapevolezza è la base della nuova pittura ricercata da Cézanne: «un nuovo classicismo, non più fondato sull'imitazione scolastica degli antichi, ma rivolto a formare una nuova, concreta immagine del mondo» da ricercare non nella realtà esterna, ma nella coscienza. [11] Questo significa rifiutare tanto la concezione romantica della pittura come «letteratura figurata», quanto quella impressionistica della pittura come «tecnica capace di rendere al vivo la sensazione visiva». [12] La pittura deve esprimere «le strutture profonde dell'essere», deve essere «una ricerca ontologica, una sorta di filosofia» [13]
Anche se la realtà esiste fuori di noi, essa può essere conosciuta solo in quanto è percepita dalla nostra coscienza; egualmente, noi possiamo indagare la struttura della nostra coscienza solo in quanto in essa sono presenti immagini reali: struttura del reale e struttura della coscienza coincidono. La percezione, una volta portata al livello della coscienza, non è più semplice, non è costituita soltanto da una quantità di luce colorata, ma si struttura in una immagine formata da dati sensibili complessi di luce, di colore, di massa, di volume, di spazio. Il problema è di non sopraffare la sensazione con sovrastrutture intellettualistiche: il pensiero deve far propria la sensazione fondendosi con essa e mantenendo, per quanto possibile, l’identità fra la struttura della coscienza e la struttura oggettiva. La pittura è l’oggettivazione nella tela dei reali dati sensibili strutturati nella coscienza.
Ultimi anni [modifica]Cezanne passò gli ultimi anni in un quasi totale e volontario isolamento. Dopo aver partecipato alla Terza Mostra Impressionista, l'artista cominciò a rinchiudersi in se stesso, alla ricerca di sempre nuove sperimentazioni formali. Altra causa fu il suo carattere chiuso con tendenze paranoiche, che mal s'adattava alla presenza degli amici che lo circondavano: celebri in questo senso furono le "sfuriate" con Manet ("non le stringo la mano, signor Manet, perché sono due settimane che non la lavo"), e con Zola di cui non gradiva la cerchia. Proprio con quest'ultimo, amico fraterno dall'infanzia, arrivò ad un punto di rottura, soprattutto dopo che, nel 1886, l'amico pubblicò il romanzo L'oeuvre, nel cui protagonista, Claude Lantier - pittore fallito che si suicida davanti ad un quadro che non riesce a terminare - lo stesso Cezanne si sarebbe identificato. Da allora i due amici di un tempo non si videro più.
Con la moglie e il figlio a Parigi, Cezanne visse solitario ad Aix en Provence, dividendosi tra la casa in città e l'atelier in località Chemin des Lauves, ritirandosi a dipingere tele di grande formato, rappresentanti principalmente le Bagnanti o la Montagna Sainte Victoire, e le cui ricerche formali anticipano nettamente il cubismo. Unico ad occuparsi di lui fu il grande mercante d'arte Ambroise Vollard, che stipulò con lui un contratto nel 1895 e di cui fu il primo -dopo 18 anni- ad esporre opere e ad organizzare una mostra nella propria galleria.
Nell'ottobre 1906, mentre dipingeva en plein air, Cezanne venne sorpreso da un temporale. Riportato a casa da un contadino su un carretto scoperto, semincosciente e in preda a violenta polmonite, morì pochi giorni dopo senza aver potuto riprendere i pennelli in mano. Hortense e Paul giunsero ad Aix quando lui era già morto.
Nel febbraio del 1907, al Salon d'Automne, gli fu dedicata una imponente retrospettiva commemorativa, che sconvolse un'intera generazione di nuovi artisti (tra cui Picasso e Modigliani), pose le basi del cubismo ed aprì le strade alle avanguardie artistiche del '900.
(Cézanne, lettera a Émile Bernard, 23 ottobre 1905)
Paul Cézanne nel 1861
Paul Cézanne (Aix-en-Provence, 19 gennaio 1839 – Aix-en-Provence, 22 ottobre 1906) è stato un pittore francese.
Indice [nascondi]
1 Biografia
1.1 Primi anni
1.2 Il periodo romantico
1.3 Il periodo impressionista
1.4 Il periodo costruttivo
2 Ultimi anni
3 Curiosità
4 Opere
4.1 1860-1869
4.2 1870-1879
4.3 1880-1889
4.4 1890-1899
4.5 1900-1906
5 Note
6 Bibliografia
7 Altri progetti
Biografia [modifica] Primi anni [modifica] Il padre di Paul Cézanne, 1866Paul Cézanne, che ebbe antenati piemontesi, originari di Cesana[1], fu il primogenito di Louis Auguste, proprietario di una fabbrica di cappelli, e di Anne Elisabeth Honorine Aubert, operaia nella stessa fabbrica: i suoi genitori si erano sposati il 29 gennaio 1844, dopo la nascita di un'altra figlia, Marie; nel 1848, Louis Auguste Cézanne fondò con un socio la banca "Cézanne et Cabassol".
In una famiglia che godeva di notevole agiatezza, Paul poté frequentare le migliori scuole: dopo gli studi primari dal 1844 al 1849, dal 1849 al 1852 al pensionato Saint Joseph, entrò nel Collège Bourbon - oggi Mignet - dove ricevette un'istruzione umanistica, ed ebbe per compagni, fra gli altri, Émile Zola - che viveva allora ad Aix con la madre - con il quale si legò di profonda amicizia. Lo stesso scrittore ricorda quell'amicizia di adolescenti intellettuali: «Avevamo libri in tasca e nelle borse. Per un anno, Victor Hugo regnò su di noi come un monarca assoluto. Ci aveva conquistato con le sue forti andature di gigante, ci rapiva con la sua retorica potente». E dalla passione per Victor Hugo passarono a quella per de Musset: «De Musset ci sedusse con la sua spavalderia di monello di genio. I Racconti d'Italia e di Spagna ci trasportarono in un romanticismo beffardo, che ci riposò, senza che ce ne rendessimo conto, del convinto romanticismo di Victor Hugo». Questa sua formazione spirituale improntata al romanticismo - Cézanne scrisse anche poesie, che fece leggere a Zola - non fu senza conseguenze nelle sue scelte pittoriche.
Ancor prima di conseguire, nel 1859, il baccalauréat, frequentò dal 1856 l'École de Dessin di Aix, conseguendo un secondo premio in disegno, e studiò musica, suonando, insieme con Zola, in un'orchestra.
Il periodo romantico [modifica]Dopo un breve soggiorno a Parigi, insieme con Zola e con Jean-Baptistin Baille, altro suo compagno di collegio, tornò ad Aix per iscriversi, ma soltanto per assecondare il desiderio del padre, alla Facoltà di legge. Zola era rimasto a Parigi e i due amici mantennero un fitto contatto epistolare, quando pure Cézanne non andava quasi mai a fargli visita nella citta capitale. Da tempo stava pensando di dedicarsi alla pittura e nel 1859, nella casa di campagna presso Aix, chiamata Jas de Bouffan, organizzò il suo studio di pittore. Se il padre - borghese pratico che sapeva valutare il certo e l'incerto - era ostile a quell'attività che faceva trascurare al figlio una possibile, fruttuosa carriera legale, Paul veniva incoraggiato dalla madre e dalla sorella Marie. Frequentò una piccola cerchia di artisti, formata dai pittori Emperaire e Villevieille, dallo scultore Solari, dallo scrittore Gasquet, suo futuro biografo, e dal critico d'arte Valabrègue.
Fu esonerato dal servizio militare nel 1860 e smise di frequentare l'università. Nella sala della casa di campagna dipinse in uno stile «che fa pensare a un maldestro affresco di uno strano quattrocentista» [2], le Quattro stagioni, firmate scherzosamente Ingres, oggi trasportate su tela e conservate al Petit Palais di Parigi.
Monaco domenicano, ca 1865Ottenuto dal padre il permesso di recarsi a Parigi, da aprile a settembre vi frequentò l' Académie Suisse, visitando frequentemente il Louvre e il Salon, attratto dai pittori del naturalismo storico alla Meissonier. Dopo aver cercato invano di entrare nella prestigiosa École des Beaux-Arts, ritornò ad Aix per riprendere i corsi di disegno e lavorare, senza nessun interesse, nella banca del padre. La lasciò tuttavia l'anno successivo per tornare nuovamente a Parigi e riprendere i corsi dell' Académie Suisse; qui fece la conoscenza dei pittori Bazille, Monet, Pissarro, Renoir, Sisley.
Nel maggio 1863 visitò con Zola il Salon des Refusés – l’esposizione dei dipinti rifiutati dal Salone ufficiale, che ispirava le scelte delle opere a criteri accademici, favorendo la pittura tradizionale - ma era attratto soprattutto dagli artisti che poteva ammirare al Louvre: qui si esercitava copiando i classici della pittura, da Caravaggio a El Greco, dai cinquecentisti veneti fino ai moderni Delacroix, Daumier, Corot e Courbet. Tornò ad Aix nel 1864 e a intervalli soggiornò in varie località della Francia.
Al Salon del 1865 – quello che vide lo «scandalo» dell’ Olympia di Manet - inviò un’opera che venne però rifiutata, mentre Zola pubblicò il romanzo La confession de Claude, dedicato a lui e a Baille. Nella presentazione del libro ad Aix, Marius Roux, amico di Cézanne e di Zola, scrive che «grande ammiratore dei Ribera e degli Zurbarán, il nostro pittore procede solo da sé stesso, dando alle sue opere un timbro particolare. Io l’ho visto all’opera nel suo atelier, e se non posso ancora predirgli il brillante successo di coloro che l’ammirano, sono però certo di una cosa, che la sua opera non sarà mai mediocre». [3]
In quest'anno dipinse i nove, energici ritratti dell' oncle Dominique, lo zio materno Dominique Aubert, costruiti utilizzando largamente la spatola per dare intensità al colore e senso del volume alla tela e, pur in assenza di contrasti di luce, «l'immagine è fortemente pronunciata, e benché il problema spaziale sia qui assente, almeno come problema di spazio-colore, come sarà invece dopo la lezione impressionista, l'immagine si determina in una sua consistenza, squadrata e sintetizzata, anticipazione di quell'organicità monumentale che Cézanne raggiungerà in pieno dopo il 1880». [4]
Dopo che fu nuovamente rifiutato al Salon del 1866 un suo dipinto, il Ritratto di Anthony Valabrègue, uno scrittore suo amico, Cézanne scrisse all’intendente delle Belle Arti, responsabile della scelta dei dipinti, una lettera di protesta, dichiarando di rifiutare il giudizio della giuria e di voler esporre egualmente le sue opere: «Non mi sembra che il mio desiderio abbia nulla di esorbitante e se voi chiedeste a tutti i pittori che si trovano nella mia posizione, vi risponderebbero tutti di rifiutare la giuria e di voler partecipare in un modo o in un altro a un’esposizione che deve essere necessariamente aperta a tutti coloro che lavorano seriamente». [5].
Hortensie Fiquet, 1877é è questo il periodo in cui Cézanne cercava uno stile personale, fuori da ogni accademicismo e da ogni scuola, ma i riferimenti ad artisti da lui conosciuti e studiati si rilevano egualmente: oltre ad aver appreso il disegno accademico all’Ecole des Beaux-Arts di Aix da Joseph Gibert, le sue prime tele mostrano richiami ad alcuni pittori provenzali, come Émile Loubon – tele di questo pittore sono esposte nel Museo di Aix – all’allievo di questi, Monticelli e a Paul Guigou, due pittori di gusto romantico, e anche al ben più noto Daumier, artista che sintetizza in sé il romanticismo di Delacroix e il realismo di Courbet, i due grandi maestri ammirati da Cézanne.
Délacroix gli mostrò come aprire le forme, che la tradizione accademica conserva nella chiusura della plasticità, costruendole secondo le vibrazioni del colore sotto gli effetti della luce: di lui Cézanne disse che era «la più bella tavolozza di Francia» e che nessuno in Francia, come Délacroix, aveva avuto il senso della «vibrazione del colore. Noi tutti dipingiamo seguendo lui», [6] mentre la lezione di Courbet gli servì da correttivo agli eccessi romantici di Delacroix.
Dal 1866 al 1870 si divise tra Aix e Parigi: qui conobbe e convisse, senza che la famiglia sapesse nulla, con una giovane parigina, Hortense Fiquet. Allo scoppio della guerra franco-prussiana si trovava ad Aix, ma poi, per sei mesi, si stabilì con Hortense a L'Estaque, un villaggio di pescatori presso Marsiglia e, alla fine della guerra e della Rivoluzione comunarda, ritornò a Parigi, dopo aver evitato l'arruolamento grazie al padre che pagò un sostituto del figlio alla leva, come consentito dalle leggi allora in vigore.
Il periodo impressionista [modifica] La casa dell'impiccato, 1873Nella capitale, il 4 gennaio, nacque il figlio Paul; Cézanne, prima di trasferirsi per due anni con la famiglia ad Auvers-sur-Oise, soggiornò alcuni mesi a Pontoise, il paese di Pissarro, col quale dipingeva, en plein air e a volte anche gli stessi temi, quali La cöte des boeufs a Pontoise o Il sentiero del torrente a Pontoise, ora all'Ermitage di San Pietroburgo, mentre il suo Louvanciennes è persino una copia di un dipinto di Pissarro. Questi scrisse in quel tempo che Cézanne «ci dà speranze e ho visto e ho con me una pittura di un vigore e di una forza notevole». [7]Pissarro gli insegnò a porsi davanti al soggetto con obiettività, strutturandolo liberamente sulla tela senza imposizioni di sovrastrutture letterarie, in modo da renderlo solo successivamente secondo il proprio spirito, con l'utilizzo di mezzi puramente pittorici, come le tonalità del colore e le vibrazioni della luce.
Il risultato più alto di questa esperienza, che è alla base del nuovo indirizzo intrapreso da Cézanne, è La casa dell'impiccato a Auvers: «Lo spazio non è più amorfo, ma la vibrazione luminosa, ottenuta nonostante il consueto spessore della materia, lo rende quasi compatto, come una massa che però non ha pesantezza, ma corposità, data la finezza dei passaggi. È la luce che crea questa sintesi tra volume e spazio, una sintesi che dà alle cose [...] il senso della loro 'durata reale', del ripercuotersi nella coscienza. Cézanne ha fuso il suo concetto di monumentalità [...] con il desiderio di struttura appreso da Pissarro e naturalmente va oltre, perché non si contenta di una dimensione puramente ottica delle sue immagini, ma è già in cerca di una dimensione emotiva della forma». [8]
Tornato a Parigi nel 1874 per partecipare alla prima mostra degli impressionisti, vi presentò La casa dell'impiccato e Una moderna Olympia, senza però ottenere, come gli altri espositori di indirizzo impressionista, alcun successo. Per quanto Cézanne accettasse l'impressionismo e ne condividesse gli obiettivi, non si identificava con esso e i suoi risultati sono infatti diversi: la rappresentazione della realtà mediante la vibrazione luminosa e cromatica non disfa e svuota la forma, ma assicura compattezza ed esalta i volumi; del resto, gli stessi impressionisti - a parte Pissarro, Monet e Renoir - mostravano diffidenza verso la sua pittura.
Victor Chocquet, 1877Cézanne - che continuava a dividere il suo tempo tra Parigi, Aix, Pontoise, Auvers e l'Estaque - non partecipò alla seconda mostra degli Impressionisti, tenuta nel 1876; in compenso prese parte alla terza mostra nel 1877, presentando sedici dipinti, in maggioranza acquarelli, e ottenendo la consueta disapprovazione dei critici, anche di quelli che guardavano con interesse e comprensione al movimento impressionista. Fece eccezione Georges Rivière, che scrisse di lui: «L'artista più attaccato, più maltrattato da quindici anni dalla stampa e dal pubblico, è Cézanne. Egli è, nelle sue opere, un Greco della belle époque; le sue tele hanno la calma, la serenità eroica delle pitture e delle terrecotte antiche, e gli ignoranti che ridono davanti alle Bagnanti, per esempio, mi fanno l'effetto dei Barbari che criticano il Partenone. Il signor Cézanne è un pittore e un grande pittore. Coloro che non hanno mai tenuto in mano una pennellessa o una matita hanno detto che non sa disegnare, e gli hanno rimproverato delle imperfezioni che non sono che un raffinamento ottenuto attraverso un'enorme scienza [...] la sua pittura ha l'inesprimibile fascino dell'antichità biblica e greca, i movimenti dei personaggi sono semplici e grandi come nelle sculture antiche, i paesaggi hanno una maestà imponente, e le sue nature morte così belle, così esatte nei rapporti tonali hanno, nella loro verità, qualcosa di solenne. In tutti i suoi dipinti, l'artista commuove, perché egli stesso prova, davanti alla natura, un'emozione violenta che l'abilità trasmette alla tela». [9]
In quella mostra Cézanne presentò anche il Ritratto di Victor Chocquet, suo amico che lo incoraggiava comprandogli anche delle tele. La somiglianza del Chocquet con un criminale di nome Billoir, allora molto noto alle cronache, diede occasione al pubblico di ribattezzare ironicamente l'opera Billoir al cioccolato. Ma per il Venturi questo ritratto - immagine di uomo serio, sensibile, dotato di profonda vita morale - è un esempio della raggiunta unità in Cézanne, attraverso i valori propri dell'Impressionismo, di pittura e umanità, di oggetto che raggiunge il valore dell'arte in quanto in esso sono rappresentati i valori dello spirito. «Le carni rossastre risaltano sopra un fondo di verde chiaro; effetto dunque di tono scuro su chiaro. I tocchi, anche se spessi di colore, variano perché la luce possa vibrare, anzi possa essa stessa formare l'immagine». [10]
I continui insuccessi, tanto alle mostre degli impressionisti quanto presso i Salons "ufficiali", che continuavano a respingere regolarmente le opere che Cézanne si ostinava ad inviare, lo portarono a un periodo di isolamento, aggravato anche dai contrasti con il padre il quale, già disapprovando la convivenza del figlio con Hortense, quando venne a conoscenza della nascita di un bambino, giunse a ridurgli gli aiuti economici che fino ad allora non aveva mancato di fargli pervenire. Cézanne continuò a mantenere rapporti soltanto con la madre e, a Médan, con Zola, mentre per il resto dell'anno viveva a Estaque
Il periodo costruttivo [modifica] Autoritratto, 1881.Nella pittura romantica la realtà viene trasformata coscientemente dall’artista in una sua realtà: la percezione di essa è solo la base dell’elaborazione personale del pittore; nell’impressionismo, al contrario, la realtà deve essere costituita unicamente dalla percezione degli oggetti: quanto più immediatamente la percezione viene afferrata e trasmessa nella tela, senza interventi perturbatori della riflessione personale del pittore, tanto più esatta sarà, secondo l'impressionista, la riproduzione della realtà.
Questa consapevolezza è la base della nuova pittura ricercata da Cézanne: «un nuovo classicismo, non più fondato sull'imitazione scolastica degli antichi, ma rivolto a formare una nuova, concreta immagine del mondo» da ricercare non nella realtà esterna, ma nella coscienza. [11] Questo significa rifiutare tanto la concezione romantica della pittura come «letteratura figurata», quanto quella impressionistica della pittura come «tecnica capace di rendere al vivo la sensazione visiva». [12] La pittura deve esprimere «le strutture profonde dell'essere», deve essere «una ricerca ontologica, una sorta di filosofia» [13]
Anche se la realtà esiste fuori di noi, essa può essere conosciuta solo in quanto è percepita dalla nostra coscienza; egualmente, noi possiamo indagare la struttura della nostra coscienza solo in quanto in essa sono presenti immagini reali: struttura del reale e struttura della coscienza coincidono. La percezione, una volta portata al livello della coscienza, non è più semplice, non è costituita soltanto da una quantità di luce colorata, ma si struttura in una immagine formata da dati sensibili complessi di luce, di colore, di massa, di volume, di spazio. Il problema è di non sopraffare la sensazione con sovrastrutture intellettualistiche: il pensiero deve far propria la sensazione fondendosi con essa e mantenendo, per quanto possibile, l’identità fra la struttura della coscienza e la struttura oggettiva. La pittura è l’oggettivazione nella tela dei reali dati sensibili strutturati nella coscienza.
Ultimi anni [modifica]Cezanne passò gli ultimi anni in un quasi totale e volontario isolamento. Dopo aver partecipato alla Terza Mostra Impressionista, l'artista cominciò a rinchiudersi in se stesso, alla ricerca di sempre nuove sperimentazioni formali. Altra causa fu il suo carattere chiuso con tendenze paranoiche, che mal s'adattava alla presenza degli amici che lo circondavano: celebri in questo senso furono le "sfuriate" con Manet ("non le stringo la mano, signor Manet, perché sono due settimane che non la lavo"), e con Zola di cui non gradiva la cerchia. Proprio con quest'ultimo, amico fraterno dall'infanzia, arrivò ad un punto di rottura, soprattutto dopo che, nel 1886, l'amico pubblicò il romanzo L'oeuvre, nel cui protagonista, Claude Lantier - pittore fallito che si suicida davanti ad un quadro che non riesce a terminare - lo stesso Cezanne si sarebbe identificato. Da allora i due amici di un tempo non si videro più.
Con la moglie e il figlio a Parigi, Cezanne visse solitario ad Aix en Provence, dividendosi tra la casa in città e l'atelier in località Chemin des Lauves, ritirandosi a dipingere tele di grande formato, rappresentanti principalmente le Bagnanti o la Montagna Sainte Victoire, e le cui ricerche formali anticipano nettamente il cubismo. Unico ad occuparsi di lui fu il grande mercante d'arte Ambroise Vollard, che stipulò con lui un contratto nel 1895 e di cui fu il primo -dopo 18 anni- ad esporre opere e ad organizzare una mostra nella propria galleria.
Nell'ottobre 1906, mentre dipingeva en plein air, Cezanne venne sorpreso da un temporale. Riportato a casa da un contadino su un carretto scoperto, semincosciente e in preda a violenta polmonite, morì pochi giorni dopo senza aver potuto riprendere i pennelli in mano. Hortense e Paul giunsero ad Aix quando lui era già morto.
Nel febbraio del 1907, al Salon d'Automne, gli fu dedicata una imponente retrospettiva commemorativa, che sconvolse un'intera generazione di nuovi artisti (tra cui Picasso e Modigliani), pose le basi del cubismo ed aprì le strade alle avanguardie artistiche del '900.
Paul Gauguin
Paul GauguinDa Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai a: navigazione, cerca
Paul Gauguin
Paul Gauguin (Parigi, 7 giugno 1848 – Hiva Oa, 8 maggio 1903) è stato un pittore francese.
Formatosi, dalla metà degli anni Settanta, nell'Impressionismo, si distaccò dall'espressione naturalistica accentuando progressivamente l'astrazione della visione pittorica, realizzata in forme piatte di colore puro e semplificate con la rinuncia alla prospettiva e agli effetti di luce e di ombra, secondo uno stile che fu chiamato sintetismo o cloisonnisme, al quale rimase sempre fedele pur sviluppandolo durante tutta la sua vita e portandolo a piena maturità nelle isole dei mari del Sud, quando egli si propose il tema di rappresentare artisticamente l'accordo armonico della vita umana con quella di tutte le forme naturali, secondo una concezione allora ritenuta tipica delle popolazioni primitive.
I pittori nabis e i simbolisti si richiamarono esplicitamente a lui, mentre la libertà decorativa delle sue composizioni aprì la via all'Art Nouveau, così come il suo trattamento della superficie lo rese un precursore del fauvismo e la semplificazione delle forme fu tenuta presente da tutta la pittura del Novecento.
Autoritratto, olio su tela, 46 x 38 cm, 1893, Musée d'Orsay, ParigiIndice [nascondi]
1 Biografia
1.1 Gli anni giovanili (1848 - 1873)
1.2 La scelta impressionista (1874 - 1887)
1.3 La svolta di Pont-Aven
1.4 Il sintetismo
1.5 Il dramma di Arles (1888)
1.6 Il ritorno in Bretagna (1889)
1.7 Parigi (1890 - 1891): Gauguin e il simbolismo
1.8 A Tahiti (1891 - 1893)
1.9 Il ritorno in Francia (1893 - 1895)
1.10 Gli ultimi anni in Polinesia: a Tahiti (1895 - 1901)
1.11 A Hiva Oa (1901 - 1903)
2 Principali opere
3 Note
4 Bibliografia
4.1 Scritti di Paul Gauguin
5 Altri progetti
[modifica] Biografia[modifica] Gli anni giovanili (1848 - 1873) Miette Gauguin che cuce, olio su tela, 116x81 cm, 1878, Collezione privata.Paul Gauguin nasce a Parigi il 7 giugno 1848 nella casa di rue Notre-Dame-de-Lorette 56, secondogenito del giornalista liberale, originario di Orléans, Clovis Gauguin (1814-1849) e di Aline Marie Chazal (1831-1867), figlia dell'incisore francese André Chazal e della scrittrice peruviana Flora Tristán, socialista, femminista ante-litteram e sostenitrice dell'amore libero.
L'avvento al potere di Luigi Bonaparte convince Clovis Gauguin ad abbandonare la Francia e a trasferirsi con la famiglia in Perù: egli muore il 30 ottobre 1849 durante il viaggio in piroscafo: la vedova e i figli Paul e Marie Marceline sono ospiti a Lima della famiglia materna. Alla morte, avvenuta ad Orléans nel 1855, del nonno paterno Guillaume, che lascia eredi Aline Chazal e i suoi figli, la famiglia ritorna in Francia, ospiti dello zio Isidore Gauguin.
A Orléans, Paul studia nel Petit-Séminaire dal 1859 e nel 1865 partecipa al concorso per entrare nella scuola navale, ma non supera l'esame. Il 7 dicembre s'imbarca allora come allievo pilota in un mercantile che viaggia da Le Havre a Rio de Janeiro: a questo, seguono altri viaggi finché, dopo la morte della madre, avvenuta nel 1867, il 26 febbraio 1868 si arruola nella marina militare, prestando servizio a bordo della corvetta Jéröme Napoleon e partecipando alla successiva guerra franco-prussiana.
Smobilitato, nel 1871 si stabilisce a Parigi dove, attraverso la raccomandazione del tutore Gustave Arosa, che è anche un collezionista d'arte, s'impiega nell'agenzia di cambio Bertin: qui conosce il pittore Émile Schuffenecker. È in questo periodo che, autodidatta, inizia a dipingere, ospite del tutore nella sua proprietà di Saint-Cloud, insieme con la figlia di questi, Marguerite Arosa.
Nel 1873 conosce a Parigi e sposa, sia civilmente che con rito luterano, il 22 novembre, Mette Sophie Gad, una cittadina danese, allora governante e dama di compagnia della moglie del futuro (1875-1894) Presidente del Consiglio danese Jacob Estrup, dalla quale avrà cinque figli: Émile (1874), Aline (1877-1897), Clovis (1879-1900), Jean-René (1881) e Paul, chiamato anche Pola (1883). Anche Jean-René e Pola seguiranno, dopo la morte del padre, la carriera artistica.
[modifica] La scelta impressionista (1874 - 1887) Nudo di donna che cuce, olio su tela, 115x80 cm, 1880, Ny Carlsberg, CopenaghenAppassionato d'arte, nel 1874 si iscrive all'«Accademia Colarossi» e frequenta anche il pittore Camille Pissarro, i cui consigli gli sono preziosi, così come quelli dello scultore, suo vicino di casa, Bouillot: acquista tele di pittori impressionisti e partecipa, nel 1879, alla quarta mostra impressionista con una scultura.
Per quanto capisca che la pittura impressionista non si adatti al proprio temperamento, replica le sue partecipazioni alle successive rassegne: alla quinta mostra degli impressionisti, nel 1880, presenta un'altra scultura e sette dipinti, nel 1881 presenta due sculture e otto tele, fra le quali il Nudo di donna che cuce, ove la luce è ancora impressionista ma sono ben marcati gli accenti realistici, e la varietà dei colori utilizzati lo denuncia come poco portato ai trapassi di tono. Il dipinto viene tuttavia notato dallo scrittore Joris-Karl Huysmans che ne scrive con ammirazione nella rivista «Art moderne»:
« L'anno scorso, M. Gauguin espose per la prima volta; era una serie di paesaggi, una diluizione di opere ancora incerte di Pissarro; quest'anno, M. Gauguin si presenta con una tela tutta sua, che rivela un incontestabile temperamento di pittore moderno. Porta il titolo: Studio di nudo: non ho timore di affermare che tra i pittori contemporanei che hanno lavorato sul nudo, nessuno ha ancora dato una nota così veemente [...] Che verità, in ogni parte del corpo, in quel ventre un po' grosso che cade sulle gambe »
Alla settima mostra, nel 1882, presenta una scultura e dodici tele, fra le quali il Vaso con fiori alla finestra, oggi al Louvre.
La crisi economica che investe l'Europa ha un riflesso anche nella vita di Gauguin che, nel gennaio del 1883, dopo un drammatico crollo della Borsa di Parigi, viene licenziato, come l'amico pittore Schuffenecker, dall'agenzia Bertin: per far fronte alla difficile situazione familiare, in un primo tempo si trasferisce a Rouen, poi rimanda a Copenaghen la moglie e i figli che raggiunge l'anno dopo, nel 1884, avendo lì ottenuto un lavoro di rappresentante. Ma gli affari non vanno bene e allora, nel 1885, ritorna a Parigi con il figlio Clovis. Le difficoltà di guadagnarsi da vivere lo spingono in primo tempo a stabilirsi per tre mesi in Inghilterra, poi ad accettare a Parigi un lavoro di attacchino di manifesti: a causa dell'impossibilità di pagarsi la pensione, cambia spesso alloggio ed è anche ospite nella casa di Schuffenecker. Con tutto ciò, non trascura la pittura e nel maggio del 1886 partecipa all'ottava e ultima mostra degli impressionisti, esponendo diciotto dipinti: uno di questi è le Mucche in un pantano, ora nella Galleria d'Arte Moderna di Milano.
Alberi e figure sulla spiaggia, olio su tela, 46 x 61 cm, 1887, Collezione privata, ParigiIn giugno soggiorna a Pont-Aven, in Bretagna, dove conosce il pittore Charles Laval; tornato a novembre a Parigi, conosce Théo van Gogh, che gestisce una piccola galleria d'arte, e Vincent van Gogh. Nuovamente deciso a cercare fortuna fuori della Francia, il 10 aprile 1887, dopo aver rimandato il figlio Clovis a Copenaghen dalla madre, parte per l'America insieme con il pittore Charles Laval. A Panamá sono in corso i lavori per la costruzione del canale e Gauguin per più di un mese si guadagna da vivere come sterratore; in estate, con Laval, parte per la Martinica, dove dipinge una ventina di tele, finché a novembre, senza soldi, s'ingaggia come marinaio in una nave che lo riporta in Francia, nuovamente ospite, a Parigi, di Schuffenecker.
Il breve soggiorno in Martinica segna un ulteriore distacco della pittura di Gauguin dai principi dell'Impressionismo, come mostrano le tele lì dipinte, esposte nella galleria parigina di Théo van Gogh. Come scrisse successivamente un critico d'arte,[1], egli semplificò i colori, istituendo forti contrasti, che l'amico e primo mentore, l'impressionista Pissarro, giustificò con il fatto che nei paesi tropicali come la Martinica la forma viene assorbita dalla luce, cosicché le sfumature di tono sono impercettibili e allora occorre ripiegare sui contrasti di colore, ma si tratta in realtà, per Gauguin, di una consapevole presa di distanze dalla pittura impressionista. Vincent van Gogh, giudicando quei quadri, vi trovò «un'immensa poesia [...] qualcosa di gentile, di sconsolato, di meraviglioso» e rilevò il «turbamento» di Gauguin di fronte al mancato apprezzamento delle sue opere.[2]
[modifica] La svolta di Pont-AvenRifiutato l'invito di van Gogh di andare a vivere ad Arles, Gauguin riparte nuovamente, nel febbraio 1888, per Pont-Aven. Della Bretagna e di Pont-Aven - oltre all'ampio credito che la pensione Gloanec, dove alloggia e allestisce lo studio, gli accorda - lo attira «l'elemento selvaggio e primitivo. Quando i miei zoccoli risuonano su questo granito, sento l'eco attutito e potente che vorrei ottenere quando dipingo».[3]
In estate, Pont-Aven si popola di pittori e Gauguin viene raggiunto anche da Charles Laval. Conoscenza decisiva è però quella del giovanissimo Émile Bernard, che in agosto si reca da Saint-Briac nel villaggio bretone portando con sé alcune tele. Egli, insieme con l'amico pittore Anquetin, aveva elaborato un nuovo stile neo-impressionista.[4]
« Quando uno spettacolo naturale viene esageratamente accentuato, finisce per assumere un tono troppo realistico, così che colpisce i nostri occhi a detrimento della mente. Dobbiamo cercare di semplificarlo per poterne penetrare il significato. Io avevo due modi per ottenere tutto questo. Il primo modo consisteva nell'osservare la natura semplificandola al massimo, riducendo le sue linee a eloquenti contrasti, le sue sfumature ai sette colori fondamentali del prisma. Il secondo sistema consisteva nell'affidarsi alle idee e alla memoria, liberandosi da qualsiasi contatto diretto. La prima possibilità comportava una calligrafia semplificata che si proponeva di affermare il simbolismo inerente alla pittura, la seconda era l'atto della mia volontà, che esprimeva, con mezzi analoghi, la mia sensibilità, la mia immaginazione, la mia anima »
Già mesi prima, nel maggio 1888, il critico Eduard Dujardin[5] si era espresso in termini altamente elogiativi nei confronti della nuova espressione d'arte, che chiamò cloisonnisme ed attribuì esclusivamente ad Anquetin:
La visione dopo il sermone, olio su tela, 73x92 cm, 1888, Nat. Gall. of Scotland, Edinburgh « questi quadri danno l'impressione di una pittura decorativa, un tracciato esterno, un colore violento e di getto richiamano inevitabilmente l'imagerie e le giapponeserie. Poi, sotto il tono ieratico del disegno e del colore, s'intuisce una verità sorprendente che si libera dal romanticismo della passione, e soprattutto, poco a poco, la nostra analisi viene richiamata sulla costruzione intenzionale, razionale, intellettuale e sistematica [...] il pittore traccerà il disegno entro linee chiuse entro cui porrà diversi toni, la sovrapposizione dei quali darà la sensazione della colorazione generale ricercata, poiché colore e disegno si compenetrano a vicenda. Il lavoro di questo pittore è qualcosa come una pittura per compartimenti simile al cloisonné, e la sua tecnica risulterà una specie di cloisonnisme »
Gauguin è favorevolmente impressionato dallo stile di Bernard, come scrive a Schuffenecker il 14 agosto: «C'è qui il giovane Bernard che ha portato da Saint-Briac alcune cose interessanti. Ecco un individuo che non ha paura di nulla [...] I miei recenti lavori sono sulla buona strada; credo che vi troverete un tono particolare, o meglio una conferma delle mie indagini precedenti, la sintesi di una forma e di un colore che tiene conto solo dell'elemento dominante».
Gauguin fu colpito in particolare da un quadro dipinto da Bernard a Pont-Aven, Donne bretoni in un prato, che egli si fece offrire in cambio di una sua tela. Su uno sfondo verde e piatto, Bernard aveva accentuato i contorni delle masse delle figure e dei vestiti, senza modellare le forme, ottenendo così una forte astrazione dell'immagine. Il dipinto che Gauguin portò a termine nel settembre 1888, la La visione dopo il sermone, è certamente debitore del quadro di Bernard, che nei suoi Ricordi inediti[6] non manca di rilevarlo: nella La visione dopo il sermone, Gauguin «aveva semplicemente messo in atto non la teoria colorata di cui gli avevo parlato, ma lo stile precipuo delle mie Donne bretoni in un prato, dopo aver stabilito un fondo del tutto rosso in luogo del mio giallo-verde. In primo piano mise le mie stesse grandi figure dalle cuffie monumentali di castellane».
Gauguin si disse invece convinto di aver fatto qualcosa di assolutamente nuovo, che segnava il suo cosciente abbandono della maniera impressionista. Spiegava che il dipinto rappresentava delle donne che, dopo aver ascoltato il sermone del loro parroco, immaginavano di assistere all'episodio biblico: «il paesaggio e la lotta dei due contendenti esistono solo nell'immaginazione di questa gente che prega, è il risultato del sermone. Ecco perché vi è un contrasto fra quelle donne reali e la lotta di Giacobbe e l'angelo inserita nel paesaggio, che resta irreale e sproporzionata».[7]
Pissarro, da parte sua, criticò l'opera per mancanza di originalità e per aver fatto un passo indietro rispetto alle moderne tendenze, rimproverandogli di aver «rubacchiato ai pittori giapponesi, ai bizantini e ad altri; gli rimprovero di non aver applicato la sua sintesi alla nostra filosofia moderna, che è assolutamente sociale, anti-autoritaria e anti-mistica».[8]
[modifica] Il sintetismoNel nuovo stile di Gauguin - il cloisonnisme o sintetismo - il colore si chiude in zone, così che la scena si presenta in superficie e si annulla ogni rapporto tra spazio e volumi. Allo stesso Bernard, a proposito dell'uso delle ombre, Gauguin scrive:[9]
Il Cristo giallo, olio su tela, 92x73 cm, 1889, Albright-Knox A. G., Buffalo. « Guardate i giapponesi, che pure dipingono in modo ammirevole e vedrete una vita all'aria aperta e al sole, senza ombre. Usano i colori solo come combinazione di toni, di armonie diverse [...] voglio staccarmi quanto più è possibile da qualsiasi cosa che dia l'illusione di un oggetto, e poiché le ombre sono il trompe-l'oeil del sole, sono propenso a eliminarle. Ma se una sfumatura entra nella composizione come forma necessaria, allora è diverso [...] Così, mettete pure delle ombre, se le giudicate utili, oppure non le mettete: è la stessa cosa, se non siete schiavi dell'ombra. È piuttosto questa che deve essere al vostro servizio »
Per evitare, dipingendo all'aperto, di essere condizionato dagli effetti di luce, dipinge a memoria, semplificando le sensazioni ed eliminando i particolari; di qui l'espressione di una forma, più che sintetica - giacché ogni forma in arte è sempre necessariamente sintetica - sintetistica, perché volutamente semplificata. Egli rinuncia anche ai colori complementari che, se avvicinati, si fondono e preferisce mantenere ed esaltare il colore puro: «Il colore puro. Bisogna sacrificargli tutto».[10]
Tuttavia egli non porta alle estreme conseguenze questa concezione, perché l'uso di soli colori puri avrebbe distrutto spazio e volumi e allora attenua l'intensità delle tinte: ne deriva il tono generalmente «sordo» e un disegno piuttosto sommario, come confida a Bernard: «La mia natura porta al sommario in attesa del completo alla fine della mia carriera». Evita anche di cadere nella triviale decorazione, come spesso accade all'Art Nouveau che origina da quegli stessi presupposti, racchiudendo «nelle sue superfici decorative un contenuto fantastico, onde creò il simbolismo pittorico».[11]
Il Cristo giallo, dipinto nel 1889, è un chiaro esempio di come concepisca la sua arte: «La forma sommaria del Cristo rappresenta abbastanza bene l'opera popolaresca, ma è appunto sommaria, non messa a punto per sostenere il rapporto delle tinte pure. L'interesse dell'artista è altrove, nel color giallo dell'immagine in rapporto con il giallo del fondo e con gli azzurri delle ombre, per esprimere la tristezza del paese, la sua aridità, il suo aspetto autunnale. Il simbolismo è dunque per Gauguin un modo di esprimersi indirettamente. Le scene della vita quotidiana sono un'occasione ora per un ritmo decorativo, ora per un motivo paesistico, e l'uno e l'altro alludono a uno stato di tristezza che dovrebbe accompagnare la vita religiosa».[12]
Il pittore Paul Sérusier, presente a Pont-Aven in quell'estate del 1888, apprese dallo stesso Gauguin una «lezione» di pittura impartita secondo il principio sintetistico, che così riassunse:[13]
« L'impressione della natura deve essere legata al senso estetico che seleziona, ordina, semplifica e sintetizza. Il pittore non dovrebbe fermarsi, finché non ha dato vita sotto forma plastica al frutto della sua immaginazione, nato dalla fusione della sua mente con la realtà. Gauguin insisteva sulla costruzione logica della composizione, sull'armonia di colori chiari e di colori scuri, sulla semplificazione delle forme e delle proporzioni, così da accentuarne i contorni con un'espressione eloquente e poderosa »
[modifica] Il dramma di Arles (1888) 260pxMiserie umane, olio su tela, 73x92 cm, 1888, Ordrupgaard M., CopenaghenIn quell'estate del 1888 Théo van Gogh stipula con Gauguin un contratto che garantisce al pittore uno stipendio di 150 franchi in cambio di un quadro ogni mese; lo invita poi a raggiungere il fratello Vincent ad Arles, in Provenza, pagandogli il soggiorno. Gauguin, non abituato a ricevere tanto denaro, non può rifiutare e il 29 ottobre 1888 raggiunge Arles.
Mentre van Gogh apprezza il paesaggio mediterraneo e dimostra grande ammirazione per il suo nuovo compagno, con il quale spera di fondare un'associazione di pittori, Gauguin rimane deluso della Provenza - «trovo tutto piccolo, meschino, i paesaggi e le persone», scrive a Bernard - e non crede possibile una lunga convivenza con Vincent, dal quale tutto lo divide: carattere, abitudini, gusti e concezioni artistiche: van Gogh «ammira molto i miei quadri, ma quando li faccio, trova sempre che ho torto qui, ho torto là. Lui è romantico, io invece sono portato verso uno stato primitivo. Dal punto di vista del colore, lui maneggia la pasta come Monticelli, io detesto fare intrugli».[14]
Vanno tuttavia insieme a dipingere i dintorni della cittadina: la Vendemmia (o Miserie umane) viene così descritta a Bernard:[15]
« Vigne rosse che formano triangolo verso l'alto giallo cromo. A sinistra, una bretone del Pouldu nero, grembiule grigio. Due bretoni abbassate dai vestiti blu-verde chiaro e corsetto nero. In primo piano, terreno rosa, e poveretta dai capelli arancione, camicia bianca e sottana (terra verde con del bianco). Il tutto eseguito a grandi tratti riempiti di toni quasi uniti con una spatola molto spessa su grossa tela di sacco. È un effetto di vigne che ho visto ad Arles. Ci ho messo delle bretoni: tanto peggio per l'esattezza. È il mio quadro più bello di quest'anno e appena sarà asciugato lo manderò a Parigi »
Gauguin fa anche un ritratto di van Gogh, intento a dipingere gli amati girasoli, a proposito del quale Vincent esclama: «Sono certamente io, ma io divenuto pazzo». Quella sera stessa vi è un litigio violento in un caffè di Arles e van Gogh, ubriaco, scaglia il suo bicchiere contro Gauguin.
Scrive allora a Théo van Gogh di essere costretto, data la situazione, a tornare a Parigi. il 23 dicembre, secondo il racconto di Gauguin, van Gogh lo rincorre per strada con in mano un rasoio. Si volta e lo fissa: van Gogh si ferma e ritorna a casa dove, in preda a una crisi psicotica, si taglia un orecchio. Gauguin, che è andato a dormire in albergo, la mattina dopo trova i gendarmi che in un primo tempo lo fermano, accusandolo di aver ucciso l'amico, poi si rendono conto che van Gogh si è ferito da solo e dorme, e lo rilasciano. La vigilia di Natale Gauguin parte per Parigi.
[modifica] Il ritorno in Bretagna (1889)Durante i tre mesi passati a Parigi, riceve l'invito di esporre alla mostra dei XX tenuta nel febbraio 1889 a Bruxelles: vi spedisce dodici tele, ma i suoi dipinti, che rimangono tutti invenduti, con i loro prati rossi, gli alberi blu e i cieli gialli, provocano l'ilarità del pubblico ma l'apprezzamento del critico Maus: «Esprimo la mia sincera ammirazione per Paul Gauguin, uno dei coloristi più raffinati che io conosca e il pittore più alieno dai consueti trucchi che esista. L'elemento primitivo della sua pittura mi attrae come mi attrae l'incanto delle sue armonie. Vi è in lui del Cézanne e del Guillaumin; ma le sue tele più recenti testimoniano che si è avuta un'evoluzione rispetto a quelli e che già l'artista si è liberato da tutte le influenze ossessive».[16]
La belle Angèle, olio su tela, 92x72 cm, 1889, Musée d'Orsay, ParigiTornato in aprile a Pont-Aven, a maggio ritorna ancora a Parigi - in quell'anno, centenario della Rivoluzione, si teneva l'Esposizione Internazionale con l'inaugurazione della Tour Eiffel - per organizzare la mostra del Gruppo impressionista e sintetista nei locali del Caffè Volpini: vi partecipano anche Louis Anquetin, Émile Bernard, Léon Fauché, Charles Laval, Daniel de Monfreid, Louis Roy ed Émile Schuffenecker. Il critico Fénéon sostenne che Gauguin era influenzato da Anquetin - «un'influenza puramente formale, perché nelle sue opere abili e di gusto decorativo, non sembra circolare la minima emozione»[17] - mentre Albert Aurier rilevò in Gauguin, Bernard e Anquetin «una netta tendenza al sintetismo del disegno, della composizione e del colore, così come alla ricerca dei mezzi di semplificazione di espressione».[18]
Nessuno degli espositori, malgrado il nome dato al gruppo, era comunque un impressionista e infatti la mostra ebbe la disapprovazione dei «veri» impressionisti, Pissarro in testa. Così, senza che nessuno degli espositori fosse riuscito a vendere un solo quadro, Gauguin ritornò a Pont-Aven e di qui si trasferì in autunno nel vicino Le Pouldu, allora un minuscolo villaggio, anch'esso affacciato sull'Oceano.
Composto nel 1889 è, tra gli altri, La belle Angèle, ossia Angèle Satre, moglie del sindaco di Pont-Aven, dipinto lodato da van Gogh per quel «qualcosa di così fresco e, ancora, contadinesco, che è bello a vedersi». Il ritratto è iscritto in una sorta di cerchio magico, spostato a destra per far posto, a sinistra, alla raffigurazione di un idolo orientale, come a istituire un'analogia tra le due immagini e alludere a un'ansia mistica del pittore.
Egli è il leader incontestato di un gruppo di giovani pittori, Sérusier, Meyer de Haan, Roy, Charles Filliger, Laval, Maxime Maufra, ai quali s'impone tanto per il suo prestigio che per la sua maggiore età e per una sua certa arrogante durezza di carattere, ma non nasconde la sua amarezza per il mancato riconoscimento pubblico della sua arte. Vuole allontanarsi dalla Francia, dalla quale poco spera: fa domanda al governo francese per essere inviato come colono nel Tonchino, i territori indocinesi sottoposti dal 1884 a protettorato francese, ma la sua domanda viene respinta. Per intanto, nel gennaio 1890, torna a Parigi, ancora una volta ospitato da Schuffanecker.
[modifica] Parigi (1890 - 1891): Gauguin e il simbolismo Ondina, olio su tela, 92x72 cm, 1889, Museum of Art, Cleveland.Nella capitale conosce un inventore, un certo Charlopin, che gli offre, per un consistente gruppo di quadri, 5.000 franchi, una somma con la quale Gauguin potrebbe permettersi un lunghissimo soggiorno in qualunque terra tropicale, ma l'offerta non va in porto. Passa mesi febbrili, tra Parigi e la Bretagna, in cerca di compagni e di denaro.
Non sa neanche decidersi in quale paese andare, se in Tonchino prima o se poi nel Madagascar: infine opta per la Polinesia. Al pittore simbolista Odilon Redon, che gli ha fatto un ritratto e cerca di dissuaderlo a partire, scrive di aver «deciso di andare a Tahiti per finire là la mia esistenza. Credo che la mia arte, che voi ammirate tanto, non sia che un germoglio, e spero di poterla coltivare laggiù per me stesso allo stato primitivo e selvaggio. Per far questo mi occorre la calma: che me ne importa della gloria di fronte agli altri! Per questo mondo Gauguin sarà finito, non si vedrà più niente di lui».[19]
Dal novembre 1890, a Parigi, frequenta un gruppo di giovani pittori che, con il nome di «Nabis», profeti in ebraico, hanno dato vita a circolo di pittura simbolista, in gran parte debitrice dei principi sintetisti di Gauguin. Ne fanno parte Paul Sérusier, Denis, Pierre Bonnard, Ker-Xavier Roussel, Félix Vallotton e Édouard Vuillard, sostenuti da critici come Albert Aurier e Lugné-Poe e poeti e scrittori come Mallarmé, Jean Moréas, Maurice Barrès, Paul Fort e Charles Morice, il quale, dopo averlo descritto come uomo dal «grande viso ossuto e massiccio, dalla fronte stretta, dal naso non curvo, non adunco, ma come spezzato, con una bocca dalle labbra strette e senza inflessione, con delle palpebre pesanti [...] in cui una altezzosa nobiltà, evidentemente connaturata, si mescolava a una semplicità che confinava con la trivialità», testimonia dell'elogio dell'arte primitiva fatta da Gauguin in occasione di uno di quegli incontri:[20]
« L'arte primitiva parte dallo spirito e si serve della natura. L'arte cosiddetta raffinata parte dalla sensualità e serve la natura. La natura è la serva della prima e la padrona della seconda. Ma la serva non può dimenticare la sua origine e avvilisce l'artista lasciandosi adorare da lui. È così che siamo caduti nell'abominevole errore del naturalismo. Il naturalismo comincia con i greci di Pericle. Poi non si sono avuti più o meno grandi artisti che tra coloro che più o meno hanno reagito contro questo errore. Ma le loro reazioni non sono state che trasalimenti di memoria, bagliori di buon senso in un movimento di decadenza che prosegue ininterrotto nei secoli. La verità è nell'arte cerebrale pura, nell'arte primitiva; il più sapiente di tutti i paesi è l'Egitto. Là è il principio. Nella nostra miseria attuale non c'è salvezza possibile che nel ritorno sincero e consapevole al principio. E questo ritorno deve costituire la meta del simbolismo in poesia e in arte! »
La perdita della verginità, olio su tela, 90x130 cm, 1891, Chrysler Art Museum, Norfolk, USAL'intento di Gauguin non è tanto quello di presentarsi come l'iniziatore e il promotore della poetica simbolista, quanto quello di procurarsi la massima pubblicità e solidarietà in vista di una progettata vendita all'asta dei suoi dipinti, con il cui ricavato contava di poter finalmente salpare per le isole polinesiane. Egli infatti si preoccupa di dipingere una tela in pretto stile simbolista, La perdita della verginità, in cui una giovane, sulla quale posa una volpe, simbolo della lussuria, è adagiata su un paesaggio che nulla ha di naturalistico, al fondo del quale si svolge un corteo nuziale. Modella del dipinto fu la ventenne Juliette Huet, sua attuale amante, dopo il tentativo di Gauguin di stabilire una relazione con Madame Schuffenacker, che naturalmente portò all'interruzione dei rapporti con Émile Schuffenecker.
L'asta delle opere di Gauguin, tenuta a Parigi il 23 febbraio 1891, frutta più di 9.000 franchi, come comunica[21] alla moglie la quale, pur dovendo mantenere a Copenaghen cinque figli facendo traduzioni dal francese, non ottiene un soldo. L'asta era stata preparata da diversi articoli che esaltavano l'opera del pittore e fu seguita da un lungo articolo di Albert Aurier che consacrava Gauguin come capostipite del simbolismo in pittura.[22]
Dopo aver premesso che lo scopo dell'arte non può essere la diretta rappresentazione delle cose, ma delle «Idee», degli «Esseri assoluti», gli unici che abbiano una autentica realtà, di cui gli oggetti naturali sono soltanto «segni», compito dell'artista «ideista» è esprimersi mediante questi segni, sapendo che la realtà è solo l'idea. Dunque il segno rappresentato dal pittore nella tela non sarà un oggetto concreto, così come nella tela dovrà essere evitato ogni illusionismo fallace:
« È logico che l'artista rifugga dall'analisi per non incorrere nei pericoli della verità concreta. Ogni particolare in realtà non è che un simbolo parziale molto spesso inutile in rapporto al significato totale dell'oggetto. Di conseguenza, stretto dovere del pittore ideista è effettuare una selezione naturale tra i molteplici elementi che compongono l'oggettività, non utilizzare nelle sue opere che le linee, le forme, i colori generali e distintivi che servono a esprimere chiaramente il significato ideico dell'oggetto, piuttosto che qualche simbolo parziale che avalla il simbolo generale »
Natura morta con mele, pere e ceramica, olio su tela, 28x36 cm, 1890, Fogg Art Museum, Cambridge, Mass., USAForme, linee e colori potranno essere esagerati, attenuati o deformati, seguendo tanto la necessità dell'espressione dell'«Idea» che la propria visione artistica. L'arte simbolista sarà dunque ideista, perché espressione di un'idea; simbolista, perché esprime l'idea attraverso una forma, ossia un insieme dei segni; sintetica, perché questa forma dovrà essere generalmente comprensibile; soggettiva, perché ogni oggetto rappresentato non sarà un oggetto naturale, ma un segno dell'idea percepita dal soggetto, il pittore; decorativa, termine che in Aurier riassume il significato dell'arte che è insieme «soggettiva, sintetica e ideista».
Naturalmente, un artista, per essere all'altezza del compito di esprimere l'astratto significato di un oggetto dovrà avere un «dono sublime», riservato a pochi, un «dono dell' emotività così grande e così prezioso, da far rabbrividire l'anima di fronte al dramma sfuggente delle astrazioni»: se questo dono è concesso al pittore, allora «i simboli, cioè le Idee, sorgono dalle tenebre, si animano, si mettono a vivere di una vita che non è più la nostra vita contingente e relativa, ma di una vita abbagliante che è la vita essenziale, la vita dell'Arte». E concludeva che tale era l'arte di Gauguin, «grande artista di genio, dall'anima primitiva e un po' selvaggia».
L'articolo provoca la rottura dei rapporti di Gauguin con Bernard, che si considerava in qualche modo l'ispiratore di Gauguin, offeso per non essere stato invitato a esporre le sue opere all'asta e per non essere stato affatto citato nell'articolo dell'Aurier, e la reazione del vecchio impressionista Pissarro, che ironizza, in una lettera al figlio Lucien,[23] con il critico, rimproverandogli di non tener conto che quei segni, di cui l'Aurier parla, «devono essere più o meno disegnati. È anche necessario possedere un po' di armonia per rendere le idee e di conseguenza bisogna avere delle sensazioni per avere delle idee. Questo signore sembra prenderci per imbecilli!». E sul «cattolico Gauguin» Pissarro, da socialista e comunardo, è ancora più duro, dandogli del calcolatore e dell'arrivista:
« Gauguin non è un veggente, è un essere diabolico che si è accorto che la borghesia tornava indietro sotto le grandi idee di solidarietà che germogliano tra il popolo: idea incosciente ma feconda e la sola legittima! I simbolisti si trovano nella stessa situazione! Per questo bisogna combatterli come la peste! »
A marzo, grazie all'intercessione del figlio di Ernest Renan, Gauguin ottiene dal Ministro francese delle Belle Arti Rouvier il riconoscimento di «missione gratuita» del suo viaggio - in sostanza, la promessa di acquistare un suo quadro al suo ritorno in Francia - oltre a uno sconto sul biglietto di viaggio.
Il 23 marzo 1891 Gauguin saluta gli amici simbolisti in un pranzo tenuto nel loro ritrovo abituale del Café Voltaire di Parigi; il 4 aprile parte per Marsiglia dove, il 24 aprile, lo attendeva la nave per Tahiti. Da pochi giorni era morto Seurat; Renoir, a Parigi, conosciuta la partenza di Gauguin, commentò semplicemente: «Si può dipingere anche alle Batignolles».[24]
[modifica] A Tahiti (1891 - 1893) « Io partirò. Battello che dondoli l'alberatura
leva l'àncora verso la natura esotica! »
(Mallarmé, Brise marine)
Il viaggio da Parigi durò 63 giorni, a causa dei lunghi scali - a Bombay, a Perth, a Melbourne, a Sidney, a Auckland - effettuati lungo il percorso. Il 28 giugno 1891 Gauguin sbarca a Papeete, il capoluogo di Tahiti, presentandosi al governatore per specificargli la sua condizione di «inviato in missione artistica»; ha la sfortuna, due settimane dopo, di apprendere la notizia della morte del re dell'isola, Pomaré V, dal quale sperava di ottenere dei favori particolari: ora, invece, l'amministrazione passa in mani francesi.
Vahine no te tiare, olio su tela, 70x46 cm, 1891, Ny Carsberg, Copenaghen.Tahiti, dove per la prima volta sbarcò l'inglese Samuel Wallis nel 1767, divenne protettorato francese nel 1842 e fu annessa alla Francia nel 1880, con un atto firmato dal re Pomaré V. I tahitiani divenivano cittadini francesi e mantenevano la proprietà delle terre. L'emigrazione europea aveva condotto alla formazione di famiglie miste e introdotto modi di vita europei, allo sviluppo del commercio, della piccola industria, dell'agricoltura intensiva, e all'introduzione del culto cristiano, prevalentemente cattolico.
Vahine no te tiare (Donna col fiore), è un capolavoro: Gauguin[25]
« ama la bellezza squadrata, senza finezze, sicura e forte, delle donne di Tahiti; sente simpatia per la loro ingenua naturalità; è entusiasta dei toni caldi e ricchi della loro carne. Egli ama troppo la sua modella per sacrificarla al sintetismo; e perciò dipinge in modo sintetico ma non sintetistico.; la sua forma è tutta accenti, ma nulla che valga è tralasciato; e nulla è astratto, perché ogni linea e ogni tono son pieni di ammirazione e di gioia. Il doloroso, malefico Gauguin è scomparso. lontano dalla civiltà, oltre Papeete, nella foresta, egli ha ritrovato la sua calma, la sua umanità, la sua gioia. E con la sua gioia ritrova la giustezza del tono, scuro su chiaro, e l'armonia calma non più esasperata dei colori. Il giallo bruno delle carni, l'azzurro nero dei capelli e l'azzurro viola della veste (appena interrotti da qualche zona bianco-rosa) risaltano sul fondo chiaro, arancione in alto e rosso in basso, sparso di foglie verdi. E persino certe mancanze costruttive, proporzionali, volumetriche o luministiche, diventano qualità perché sottintendono freschezza o vivacità d'espressione, spontaneità creativa. Gauguin ha fatto opere belle come questa, ma non migliori »
Questo è il primo dipinto tahitiano di Gauguin a essere inviato in Francia e a essere esposto, nel settembre 1892, nella Galleria d'arte Goupil, deludendo però gli amici che si attendevano un quadro in pretto stile simbolista.
Ia Orana Maria, olio su tela, 114x89 cm, 1891, Metropolitan, New York.La capitale Papeete accoglie soprattutto funzionari francesi e le famiglie dei notabili indigeni, delle quali l'effigiata è un'esponente: non vi può essere, in quel luogo, l'espressione dell'autentica civiltà maori, dei genuini caratteri e dei ritmi vitali degli indigeni non ancora toccati dal dominante influsso coloniale, che possono essere rintracciati solo nei villaggi più lontani. Perciò, dopo qualche mese, insieme con la meticcia Titi, si trasferisce venti chilometri più lontano, a Pacca; lasciata poi anche Titi, troppo «civilizzata», va nel villaggio di Mataiea, dove si stabilisce in una capanna davanti all'Oceano: in un altro villaggio conosce la tredicenne Tehura, che accetta di andare a vivere con lui.
In Noa-Noa, la profumata - il racconto biografico e romanzato della sua scoperta dell'isola - scrive che «la civiltà mi sta lentamente abbandonando. Comincio a pensare con semplicità, a non avere più odio per il mio prossimo, anzi ad amarlo. Godo tutte le gioie della vita libera, animale e umana. Sfuggo alla fatica, penetro nella natura: con la certezza di un domani uguale al presente, così libero, così bello, la pace discende in me; mi evolvo normalmente e non ho più vane preoccupazioni». Non è proprio così, perché il denaro comincia a diminuire, dalla Francia non ne arriva altro e le comunicazioni epistolari sono lentissime.
In Ia Orana Maria (Ave Maria) opera una contaminazione fra cattolicesimo e religione orientale - le due figure di donne richiamano un bassorilievo del tempio di Borobudur, nell'isola di Giava - nell'ambiente paganeggiante dei Tropici. Ne scrive al de Monfreid: «Un angelo dalle ali gialle indica a due donne tahitiane Maria e Gesù, anch'essi tahitiani, una sorta di nudo rivestito dal pareo, specie di cotonina a fiori che si attacca come si vuole alla cintura. Sfondo di montagne molto scure e alberi in fiore. Strada viola cupo e primo piano verde smeraldo; a destra, delle banane. Ne sono molto contento».[26]
Manao tupapau, olio su tela, 73x92 cm, 1892, Albright-Knox Art Gallery, Buffalo.Nel marzo 1892 Gauguin scrive a de Monfreid[27] di essere stato ammalato: il suo cuore non va infatti come dovrebbe, e a Sérusier di essere alla fine dei soldi e di aver poche speranze di poterne ricavare, né a Tahiti né dalla Francia: giudica infatti i suoi quadri «brutti da tutti i punti di vista», tali da non poter essere accettati e venduti ai collezionisti parigini.[28] In compenso, si mostra più ottimista con la moglie, che gli chiedeva spiegazioni sulla sua lunga assenza, sostenendo di aver prodotto 44 tele molto importanti, dal valore presuntivo di almeno 15.000 franchi,[29] assicurandola che «quello che sto facendo qui non è mai stato fatto da nessuno e che in Francia non si conosce. Spero che questa novità potrà decidere in mio favore».[30]
Fra i suoi dipinti più noti di quest'anno e sul quale più si è dilungato nei suoi scritti è Manao tupapau (Pensa allo spettro, tradotto anche come Lo spirito dei morti veglia), dove ritrae Tahura sdraiata prona sul letto, con espressione terrorizzata.
In Noa-Noa scrive che, tornato a notte alta nella sua capanna, trovò «immobile, nuda, supina sul letto, gli occhi enormemente sbarrati dalla paura, Tehura mi guardava e sembrava non riconoscermi [...] Mi sembrava che una luce fosforescente uscisse dai suoi occhi dallo sguardo sbarrato. Non l'avevo mai vista così bella, soprattutto mai di una bellezza così commovente».
Alla moglie comunica[31] di star facendo un nudo di donna: «Una delle nostre giovani avrebbe paura di essere sorpresa in questa posizione (la donna qui no). Allora conferisco al suo volto un po' di terrore [...] Questo popolo ha, tradizionalmente, una grande paura dello spirito dei morti [...] Allora faccio così: armonia generale cupa, triste, spaventosa, che sembri quasi un rintocco funebre. Il violetto, il blu cupo, il giallo arancio. Faccio la biancheria gialla verdastra, prima di tutto perché la biancheria di questi selvaggi è diversa dalla nostra [...] in secondo luogo perché suggerisce la luce artificiale [...] in terzo luogo, questo giallo, combinandosi con il giallo arancio e il blu, completa l'accordo musicale».
Il fantasma dipinto in ossequio dei principi simbolistici è tuttavia inutile e disturba l'effetto che viene raggiunto per via puramente cromatica: tutte le spiegazioni sulla genesi del dipinto sono stati fatti a uso e consumo di coloro che pretendono di conoscere «il perché e il per come. Tuttavia, si tratta semplicemente di uno studio di nudo tropicale».[32]
Gauguin si preoccupa di comprendere e di documentarsi sulla credenze indigene e sulle loro manifestazioni artistiche: trova oggetti d'uso comune, decorati con motivi geometrici che richiamano tuttavia le fattezze umane.
Lesse poi il Voyage aux Îles du Grand Océan di Jacques-Antoine Moerenhout, pubblicato nel 1837, trascrivendone stralci nel suo manoscritto Ancien culte mahorie. La triade divina della religione maori - che allora si credeva originaria dell'Indonesia - è costituita dal dio creatore Taaroa, dalla dea Hina, che richiama la luna e il ciclo naturale della vita, e dal loro figlio Fatu, la terra che anima ogni cosa ma rifiuta di concedere l'immortalità alle creature alle quali è concesso solo di generare e di perpetuarsi attraverso l'eterno ciclo della vita e della morte.
A Tahiti non esistevano rappresentazioni artistiche delle divinità, se non i tiki, gli idoli, sculture in legno rappresentanti divinità minori, utilizzate, fino all'arrivo dei missionari, alla fine del Settecento, a segnare i recinti (i marae) ove si svolgevano i riti sacrificali. Secondo il Moerenhout, i tahitiani utilizzavano lunghi legni avvolti da fibre vegetali, che rappresentavano gli atuas, i discendenti del dio Taaroa, fra le quali si inserivano delle piume rosse: queste piume erano l'immagine di Taaroa.
Gauguin creò sculture in legno e in ceramica rappresentando dei e idoli maori, senza scrupoli filologici, ma operando una contaminazione di motivi iconografici, ridando in qualche modo vita a immagini della tradizione religiosa tahitiana in via di estinzione, raggiungendo «il fine di ridare forma e speranza a una società sul punto di morire».[33] Così, l' Idolo con la perla «ha i tratti del Buddha seduto assalito da Mara (il diavolo della religione buddhista) di un rilievo di Borobudur; la perla rappresenta il terzo occhio, la visione interiore».[34] Oviri (Selvaggio), ceramica realizzata a Parigi nel 1894, prima della partenza per il secondo e definitivo viaggio a Tahiti, rappresenta la Tueuse (colei che uccide), una donna-mostro che schiaccia ai suoi piedi un lupo mentre con una mano si stringe al fianco un cucciolo di lupo: dunque è colei che uccide ma che dà anche la vita.
[modifica] Il ritorno in Francia (1893 - 1895) Aita Tamari vahina Judith te Parari, olio su tela, 116x81 cm, 1896, Coll. privata, Winterthur.Senza più denaro, carico di debiti, perché le tele inviate in Francia fruttano poco denaro, non può che desiderare di lasciare Tahiti: nell'aprile 1893 riceve 700 franchi inviatogli dalla moglie, appena sufficienti per saldare i debiti e pagarsi il viaggio di ritorno. A maggio lascia Tehura e il suo bambino nato il mese prima e, carico delle sue tele, s'imbarca per la Francia: il 3 agosto sbarca a Marsiglia.
Grazie al denaro inviatogli dagli amici Paul Sérusier e Daniel de Monfreid, può trasferirsi da Marsiglia a Parigi, dove affitta un piccolo appartamento e va al ristorante pagandosi i pasti con i quadri. La morte dello zio Isidore lo soccorre con l'eredità di 9.000 franchi e Gauguin può traslocare insieme con Annah Martin, una giovane cameriera mulatta, di origine giavanese - rappresentata nel dipinto Aita Tamari vahina Judith te Parari - in un alloggio-studio confortevole e arredato esoticamente, dalle pareti dipinte in giallo e in verde, dove accoglie gli amici del circolo simbolista.
Tiene una mostra nella Galleria Durand-Ruel, il cui catalogo avrebbe dovuto avere una presentazione scritta da Strindberg che tuttavia rifiuta, rimproverando a Gauguin di aver creato, con le sue tele tahitiane, «una nuova terra e un nuovo cielo, ma io non mi piaccio all'interno della nuova creazione, e nel vostro paradiso abita una Eva che non è il mio ideale»
A dicembre rende l'ultima visita alla famiglia a Copenaghen e nel maggio del 1894 ritorna nei suoi luoghi preferiti della Bretagna: il 24, a Concarneau, alcuni marinai rivolgono pesanti apprezzamenti alla sua compagna Annah; egli reagisce, ma viene picchiato e si frattura una caviglia. Come non bastasse, mentre è ricoverato in ospedale, l'amica Annah torna a Parigi, s'impossessa del denaro - non dei dipinti - e fa perdere le sue tracce.
Gauguin non era certo tornato in Francia per rimanervi: nuovamente deciso a partire per la Polinesia, organizza il 18 febbraio 1895 una vendita delle sue tele: il ricavo è modesto ma sufficiente per partire. Si imbarca il 3 luglio a Marsiglia e durante lo scalo a Aukland, interessato all'arte maori, visita il Museo etnologico. Raggiunta Papeete l'8 settembre, si trasferisce nel villaggio di Paunaania, dove affitta un terreno nel quale, con l'aiuto degli indigeni, si costruisce una capanna.
[modifica] Gli ultimi anni in Polinesia: a Tahiti (1895 - 1901) La donna dei manghi, olio su tela, 97x130 cm, 1896, Museo Puŝckin, Mosca. « Questo paese ci annoia, o Morte! Spieghiamo le vele!
Se il cielo e il mare sono neri come l'inchiostro,
I nostri cuori che tu conosci sono pieni di luce! »
(Baudelaire, Voyage)
Nell'aprile del 1896 Gauguin scrive al de Monfreid di avere appena dipinto
« una tela di 130 per un metro, che credo ancora migliore di quanto abbia fatto finora: una regina nuda, sdraiata su un tappeto verde, una serva coglie dei frutti, due vecchi, accanto al grosso albero, discutono sull'albero della scienza; fondo di spiaggia; questo leggero schizzo tremolante ve ne darà solo una vaga idea. Credo di non aver mai fatto con i colori una cosa di tanto grave sonorità. Gli alberi sono in fiore, il cane fa la guardia, le due colombe a destra tubano. A che pro inviare questa tela, se ce ne sono tante altre che non si vendono e fanno urlare? Questa farà urlare ancora di più. Sono dunque condannato a morire di buona volontà per non morire di fame »
Si tratta probabilmente della prima tela dipinta dopo il suo ritorno in Polinesia, Te arii vahrine (La donna del re) o La donna dei manghi, che insieme richiama, nella posa, le Veneri del Rinascimento - o la Diana di Lucas Cranach il vecchio in particolare - con il suo segno regale del ventaglio e il simbolo sensuale dei manghi, ma anche la Eva del giardino dell'Eden e dell'«albero della scienza»: un'immagine sincretistica dei miti religiosi di tutta la storia dell'Occidente che si fa mito e presenza concreta nell'Oriente maori, secondo la teoria della religione naturale che egli stava elaborando sulla scorta della lettura del The Natural Genesis del filosofo spiritualista inglese Gerald Massey.
No te aha oe riri?, olio su tela, 95x130 cm, 1896, Art Institute, Chicago.Di altro genere è il contemporaneo No te aha oe riri? (Perché sei arrabbiata?): Al di là del titolo, qui vi è la rappresentazione del lento ritmo della vita quotidiana delle indigene, e soprattutto l'espressione dei valori pittorici raggiunti da Gauguin: «La donna in piedi ha la forma del suo colore, ampia e sintetica, bene piantata: è una cosa della natura. La direzione trasversa del primo piano incide con quella parallela al piano di fondo della capanna: cioè la visione è in superficie, con suggerimento di spazio in profondità. Il rosso-viola della terra e del tetto e l'arancio-oliva delle carni si accordano con il verde azzurro dell'ombra e con il giallo luminoso della capanna. Padrone del suo modo di comporre e dei suoi accordi cromatici Gauguin produce con naturalezza, sicuro di sé».[35]
Esempio della concezione della pittura di Gauguin, per il quale il dipinto non è il semplice risultato di un complesso di percezioni trasferite sulla tela, ma è un messaggio dell'artista, la comunicazione di un pensiero, è, tra gli altri, Te tamari no atua (La nascita di Cristo, figlio di Dio). In tal modo si comprende come venga trasformata «la struttura impressionista del quadro in una struttura di comunicazione, espressionista».[36]
Te tamari no atua, olio su tela, 96x128 cm, 1895, N. Pinakothek, München.Il sonno e il sogno della ragazza si materializza nella tela con l'immagine della Sacra Famiglia tahitiana e del presepe; nello stesso tempo nella capanna è presente un totem dipinto, segno dell'unità sostanziale dei miti religiosi. La reale esistenza della giovane compagna dell'artista che attende un figlio e sogna la sua natività è abbinata alla concreta rappresentazione dei fantasmi del suo sogno, coerentemente alla teorizzazione della pittura di memoria, fatta da Gauguin. E poiché nella memoria i minuti particolari di una scena svaniscono e i colori si attenuano, essi non splendono e non vibrano sulla tela. Analogamente, «poiché l'immagine occupa uno spazio e un tempo interiori, non possono esservi effetti di luce: infatti la luce non incide ma emana dalle cose stesse, dal contrasto del corpo olivastro e della veste turchina col giallo chiaro del letto. Blu e giallo sono complementari, sommati danno il verde, e verdi sono le ombre della coperta, verdi e blu i toni dominanti nel fondo».[37]
La sua salute appare compromessa dalla frattura non risolta della caviglia, dalle numerose piaghe alle gambe e dalla sifilide: una degenza di due mesi in ospedale gli reca poco giovamento. Convive con la quattordicenne Pahura che, nel 1896 partorisce una figlia che tuttavia sopravvive solo un anno. Nel marzo del 1897 gli giunge dalla moglie anche la notizia della morte per polmonite della figlia Aline, avvenuta il precedente gennaio; da questo momento non avrà più notizie della famiglia.
Come reazione alla morte di Aline e alle vicissitudini di questo periodo Gauguin avrebbe dipinto di getto la tela Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo? nel dicembre 1897. Ne scrisse in diverse lettere inviate in Francia: in quella diretta nel luglio 1901 a Charles Morice volle chiarire il significato del quadro:
Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo?, olio su tela 139 x 374,5 cm, 1897, Museum of Fine Arts, Boston. « Dove andiamo? Accanto alla morte di una vecchia. Un uccello strano stupido conclude. Che siamo? Esistenza giornaliera. L'uomo d'istinto si chiede che significa tutto ciò. Da dove veniamo? Fonte. Bambino. La vita comune. L'uccello conclude il poema in comparazione dell'essere inferiore di fronte all'essere intelligente in questo grande tutto che è il problema annunciato dal titolo. Dietro a un albero due figure sinistre, avvolte in vesti di colore triste, pongono accanto all'albero della scienza la loro nota di dolore causata da questa scienza stessa in confronto con gli esseri semplici in una natura vergine che potrebbe essere un paradiso di concezione umana, abbandonatasi alla gioia di vivere »
E rilevava come, malgrado i passaggi di tono, l'aspetto del paesaggio fosse dato costantemente dal blu e dal verde Veronese. Inviato a Parigi ed esposto l'anno dopo, oltre a grande interesse a apprezzamento, ebbe la critica di essere astrattamente allegorico, espressione arbitraria di un'immaginazione metafisica. Ai suoi critici Gauguin rispose di aver voluto esprimere un sogno che, come tutti i sogni, non si lascia afferrare e non esprime allegorie, ma il cui oggetto era il mistero della vita, realizzato con il colore concepito alla maniera dei simbolisti: «il colore, che è vibrazione come la musica, sta per raggiungere ciò che vi è di più generale e dunque di più vago nella natura: la sua forza interiore».[38]
Racconti barbari, olio su tela, 130x89 cm, 1902, Folkwang M., Essen.Il dipinto di Gauguin richiama quello, esposto al Salon di Parigi nel 1890, di Puvis de Chavannes, Inter Artes et Naturam. Nello schizzo del dipinto che aveva inviato nel febbraio 1898 a Daniel de Monfreid aveva rappresentato i simboli cristiani della croce e del pesce, che nella tela sono in realtà assenti: di fatto Gauguin sembra esprimere la sua adesione al buddhismo - nella quale, in stadi successivi di perfezione, si raggiunge il nirvana - avendovi invece rappresentato chiari simboli buddhisti, come la dea Hina, che richiama le statue del Buddha, il daino che richiama il bassorilievo del tempio di Borobudur, nel quale Buddha è rappresentato come re dei daini e il fiore di loto.
Alla fine di quell'anno porta a termine anche il manoscritto L'Église catholique et les temps modernes, un attacco alla Chiesa cattolica, accusata di «falsificazioni e imposture», in quanto avrebbe tradito lo spirito originario del Cristianesimo. Secondo Gauguin, esiste un'unica verità in tutte le religioni, dal momento che tutte sarebbero fondate su un mito primigenio, dal quale si sarebbero poi differenziate. Si tratta allora di recuperare il significato autentico della dottrina cristiana «corrispondente così esattamente a anche in modo grandioso alle aspirazioni ideali e scientifiche della nostra natura», attuando così «la nostra rigenerazione».
Con un prestito di 1.000 franchi concessogli dalla Cassa agricola di Tahiti compra un terreno a Paunaania e si fa costruire una casa, ma i debiti, le malattie e la depressione l'11 febbraio 1898 lo spingono al suicidio: si avvelena con l'arsenico ma rigetta e si salva.
Il cavallo bianco, olio su tela, 141x91 cm, 1898, Musée d'Orsay, Paris.Considerata la necessità di guadagnare, si trasferisce a Papeete dove s'impiega, per sei franchi al giorno, come scrivano nel Ministero dei Lavori Pubblici finché, con il denaro pervenutogli dall Francia grazie alla vendita di suoi quadri, riesce a estinguere il debito con la banca, lasciare l'impiego e tornare nella sua casa di Paunaania, dove la sua compagna Pahura gli dà un altro figlio, Émile.
Un esempio di felice concordanza cromatica e compositiva è Il cavallo bianco: «I colori sono quasi derivati e quasi complementari: è un accordo di dissonanze. Nel ruscello l'acqua è di un azzurro che tende al viola con luci gialle che tendono all'arancio. Ora, l'azzurro-viola e il giallo arancio sono fra loro complementari. Ma il giallo tende troppo all'arancio e l'azzurro tende troppo al viola per essere assolutamente complementari. Suggeriscono l'accordo complementare senza realizzarlo e riescono a esasperare l'intensità dei due singoli colori. Parimenti, il verde del prato e il rosso del cavallo (nel fondo a sinistra) non sono completamente complementari, perché il rosso tende all'arancio, senza che il verde diventi verdazzurro. Anche l'effetto di tono è trattato alla stessa guisa. Il cavallo "bianco" è di un grigio sensibile, delicato, in cui si riflettono tutti i colori attornianti. In quell'abbassamento di tono c'è una delicatezza, fatta di finezza e di quiete, ch'è un suggerimento di luce, senza che l'effetto di luce sia realizzato».[39]
Nel 1899 comincia a collaborare con il settimanale satirico di Papeete Les guëpes (Le vespe), pubblicandovi articoli e vignette contro l'amministrazione coloniale francese, accusata di opprimere gli abitanti indigeni; in agosto pubblica a sua spese un altro giornale satirico, Le Sourire (Il sorriso), sempre in polemica con l'autorità. Per tutto il 1900 sembra non aver dipinto una sola tela: è certo che la sua salute è malferma e trascorre due mesi in ospedale. Ne esce nel febbraio 1901; venduta la sua casa, lasciata la famiglia tahitiana, il 16 settembre approda in una delle Isole Marchesi, Hiva Oa, stabilendosi nel villaggio di Atuana, dove compra dal vescovo Martin un appezzamento di terra su cui fa costruire la sua nuova casa di 60 metri quadrati, ritta su pali alti 2,40 metri.
[modifica] A Hiva Oa (1901 - 1903) Giovane tahitiana col ventaglio, olio su tela, 92x73 cm, 1902, Folkwang M., Essen.All'ingresso della sua casa, che chiama Maison du jouir (Casa del piacere), scrive in lingua maori Te Faruru, «Qui si fa l'amore», e la decora con pannelli in legno scolpiti - Soyez amoureuses, vous serez heureuses (Siate innamorate, sarete felici), Soyez mystèrieuses (Siate misteriose), Père Paillard (Padre Licenzioso), Thérèse, allusione ai costumi non irreprensibili del vescovo Martin e della sua perpetua Teresa - e, a ribadire la sua polemica contro il cattolicesimo, frequenta e ritrae il sacerdote indigeno Haapuani - che è costretto a esercitare di nascosto i suoi culti - e la moglie Tohotaua che ritrae rispettivamente ne Lo stregone di Hiva Oa e nella Donna col ventaglio, splendido e luminoso ritratto nei trapassi di tono del giallo dorato, dell'arancio e dell'ambra.
Anche nei Racconti barbari Tohotaua appare in primo piano, a incarnare la rappresentazione della religione maori, con al centro la rappresentazione di quella buddhista, mentre la figura alle loro spalle è l'immagine della religione cristiana, satireggiata nella figura dagli artigli e i tratti volpini.
Donne e cavallo bianco, olio su tela, 92x72 cm, 1903, M. of Fine Arts, Boston.La sua ostilità contro le autorità coloniali e la missione cattolica cresce al punto da fare propaganda presso i nativi perché si rifiutino di pagare le tasse e non mandino più i figli nella scuola missionaria: «La scuola è la Natura», proclama, e la sua opera di persuasione ha successo, tanto che la grande maggioranza degli abitanti dell'isola aderisce al suo invito. Egli denuncia un gendarme, tale Guichenay, accusandolo di favorire il traffico di schiavi e questi lo denuncia a sua volta, accusandolo di calunnia e di sovversione. Il 31 marzo 1903, il tribunale multa e condanna Gauguin a tre mesi di prigione.
Non sconterà la pena: la mattina dell'8 maggio il pastore protestante Vernier lo trova morto, disteso nel suo letto. Gauguin era ammalato di sifilide. Il vescovo Martin, accorso alla notizia, si preoccupa di distruggere quelle opere che giudica blasfeme e oscene: poi assolve la salma e gli concede una sepoltura senza nome nel cimitero della chiesa della missione, che appariva - immagine trascurabile e lontana, eppure incombente dall'alto - nella tela dipinta pochi mesi prima, Donne e cavallo bianco, una valle di paradiso naturale dove Gauguin volle fondere ancora in un'armonia senza tempo l'umanità e gli animali di Hiva Oa.
Pochi nativi assistettero alla sua sepoltura: presto dimenticata, la sua tomba fu ritrovata venti anni dopo e gli fu posta una lapide con la semplice scritta «Paul Gauguin 1903».
Vai a: navigazione, cerca
Paul Gauguin
Paul Gauguin (Parigi, 7 giugno 1848 – Hiva Oa, 8 maggio 1903) è stato un pittore francese.
Formatosi, dalla metà degli anni Settanta, nell'Impressionismo, si distaccò dall'espressione naturalistica accentuando progressivamente l'astrazione della visione pittorica, realizzata in forme piatte di colore puro e semplificate con la rinuncia alla prospettiva e agli effetti di luce e di ombra, secondo uno stile che fu chiamato sintetismo o cloisonnisme, al quale rimase sempre fedele pur sviluppandolo durante tutta la sua vita e portandolo a piena maturità nelle isole dei mari del Sud, quando egli si propose il tema di rappresentare artisticamente l'accordo armonico della vita umana con quella di tutte le forme naturali, secondo una concezione allora ritenuta tipica delle popolazioni primitive.
I pittori nabis e i simbolisti si richiamarono esplicitamente a lui, mentre la libertà decorativa delle sue composizioni aprì la via all'Art Nouveau, così come il suo trattamento della superficie lo rese un precursore del fauvismo e la semplificazione delle forme fu tenuta presente da tutta la pittura del Novecento.
Autoritratto, olio su tela, 46 x 38 cm, 1893, Musée d'Orsay, ParigiIndice [nascondi]
1 Biografia
1.1 Gli anni giovanili (1848 - 1873)
1.2 La scelta impressionista (1874 - 1887)
1.3 La svolta di Pont-Aven
1.4 Il sintetismo
1.5 Il dramma di Arles (1888)
1.6 Il ritorno in Bretagna (1889)
1.7 Parigi (1890 - 1891): Gauguin e il simbolismo
1.8 A Tahiti (1891 - 1893)
1.9 Il ritorno in Francia (1893 - 1895)
1.10 Gli ultimi anni in Polinesia: a Tahiti (1895 - 1901)
1.11 A Hiva Oa (1901 - 1903)
2 Principali opere
3 Note
4 Bibliografia
4.1 Scritti di Paul Gauguin
5 Altri progetti
[modifica] Biografia[modifica] Gli anni giovanili (1848 - 1873) Miette Gauguin che cuce, olio su tela, 116x81 cm, 1878, Collezione privata.Paul Gauguin nasce a Parigi il 7 giugno 1848 nella casa di rue Notre-Dame-de-Lorette 56, secondogenito del giornalista liberale, originario di Orléans, Clovis Gauguin (1814-1849) e di Aline Marie Chazal (1831-1867), figlia dell'incisore francese André Chazal e della scrittrice peruviana Flora Tristán, socialista, femminista ante-litteram e sostenitrice dell'amore libero.
L'avvento al potere di Luigi Bonaparte convince Clovis Gauguin ad abbandonare la Francia e a trasferirsi con la famiglia in Perù: egli muore il 30 ottobre 1849 durante il viaggio in piroscafo: la vedova e i figli Paul e Marie Marceline sono ospiti a Lima della famiglia materna. Alla morte, avvenuta ad Orléans nel 1855, del nonno paterno Guillaume, che lascia eredi Aline Chazal e i suoi figli, la famiglia ritorna in Francia, ospiti dello zio Isidore Gauguin.
A Orléans, Paul studia nel Petit-Séminaire dal 1859 e nel 1865 partecipa al concorso per entrare nella scuola navale, ma non supera l'esame. Il 7 dicembre s'imbarca allora come allievo pilota in un mercantile che viaggia da Le Havre a Rio de Janeiro: a questo, seguono altri viaggi finché, dopo la morte della madre, avvenuta nel 1867, il 26 febbraio 1868 si arruola nella marina militare, prestando servizio a bordo della corvetta Jéröme Napoleon e partecipando alla successiva guerra franco-prussiana.
Smobilitato, nel 1871 si stabilisce a Parigi dove, attraverso la raccomandazione del tutore Gustave Arosa, che è anche un collezionista d'arte, s'impiega nell'agenzia di cambio Bertin: qui conosce il pittore Émile Schuffenecker. È in questo periodo che, autodidatta, inizia a dipingere, ospite del tutore nella sua proprietà di Saint-Cloud, insieme con la figlia di questi, Marguerite Arosa.
Nel 1873 conosce a Parigi e sposa, sia civilmente che con rito luterano, il 22 novembre, Mette Sophie Gad, una cittadina danese, allora governante e dama di compagnia della moglie del futuro (1875-1894) Presidente del Consiglio danese Jacob Estrup, dalla quale avrà cinque figli: Émile (1874), Aline (1877-1897), Clovis (1879-1900), Jean-René (1881) e Paul, chiamato anche Pola (1883). Anche Jean-René e Pola seguiranno, dopo la morte del padre, la carriera artistica.
[modifica] La scelta impressionista (1874 - 1887) Nudo di donna che cuce, olio su tela, 115x80 cm, 1880, Ny Carlsberg, CopenaghenAppassionato d'arte, nel 1874 si iscrive all'«Accademia Colarossi» e frequenta anche il pittore Camille Pissarro, i cui consigli gli sono preziosi, così come quelli dello scultore, suo vicino di casa, Bouillot: acquista tele di pittori impressionisti e partecipa, nel 1879, alla quarta mostra impressionista con una scultura.
Per quanto capisca che la pittura impressionista non si adatti al proprio temperamento, replica le sue partecipazioni alle successive rassegne: alla quinta mostra degli impressionisti, nel 1880, presenta un'altra scultura e sette dipinti, nel 1881 presenta due sculture e otto tele, fra le quali il Nudo di donna che cuce, ove la luce è ancora impressionista ma sono ben marcati gli accenti realistici, e la varietà dei colori utilizzati lo denuncia come poco portato ai trapassi di tono. Il dipinto viene tuttavia notato dallo scrittore Joris-Karl Huysmans che ne scrive con ammirazione nella rivista «Art moderne»:
« L'anno scorso, M. Gauguin espose per la prima volta; era una serie di paesaggi, una diluizione di opere ancora incerte di Pissarro; quest'anno, M. Gauguin si presenta con una tela tutta sua, che rivela un incontestabile temperamento di pittore moderno. Porta il titolo: Studio di nudo: non ho timore di affermare che tra i pittori contemporanei che hanno lavorato sul nudo, nessuno ha ancora dato una nota così veemente [...] Che verità, in ogni parte del corpo, in quel ventre un po' grosso che cade sulle gambe »
Alla settima mostra, nel 1882, presenta una scultura e dodici tele, fra le quali il Vaso con fiori alla finestra, oggi al Louvre.
La crisi economica che investe l'Europa ha un riflesso anche nella vita di Gauguin che, nel gennaio del 1883, dopo un drammatico crollo della Borsa di Parigi, viene licenziato, come l'amico pittore Schuffenecker, dall'agenzia Bertin: per far fronte alla difficile situazione familiare, in un primo tempo si trasferisce a Rouen, poi rimanda a Copenaghen la moglie e i figli che raggiunge l'anno dopo, nel 1884, avendo lì ottenuto un lavoro di rappresentante. Ma gli affari non vanno bene e allora, nel 1885, ritorna a Parigi con il figlio Clovis. Le difficoltà di guadagnarsi da vivere lo spingono in primo tempo a stabilirsi per tre mesi in Inghilterra, poi ad accettare a Parigi un lavoro di attacchino di manifesti: a causa dell'impossibilità di pagarsi la pensione, cambia spesso alloggio ed è anche ospite nella casa di Schuffenecker. Con tutto ciò, non trascura la pittura e nel maggio del 1886 partecipa all'ottava e ultima mostra degli impressionisti, esponendo diciotto dipinti: uno di questi è le Mucche in un pantano, ora nella Galleria d'Arte Moderna di Milano.
Alberi e figure sulla spiaggia, olio su tela, 46 x 61 cm, 1887, Collezione privata, ParigiIn giugno soggiorna a Pont-Aven, in Bretagna, dove conosce il pittore Charles Laval; tornato a novembre a Parigi, conosce Théo van Gogh, che gestisce una piccola galleria d'arte, e Vincent van Gogh. Nuovamente deciso a cercare fortuna fuori della Francia, il 10 aprile 1887, dopo aver rimandato il figlio Clovis a Copenaghen dalla madre, parte per l'America insieme con il pittore Charles Laval. A Panamá sono in corso i lavori per la costruzione del canale e Gauguin per più di un mese si guadagna da vivere come sterratore; in estate, con Laval, parte per la Martinica, dove dipinge una ventina di tele, finché a novembre, senza soldi, s'ingaggia come marinaio in una nave che lo riporta in Francia, nuovamente ospite, a Parigi, di Schuffenecker.
Il breve soggiorno in Martinica segna un ulteriore distacco della pittura di Gauguin dai principi dell'Impressionismo, come mostrano le tele lì dipinte, esposte nella galleria parigina di Théo van Gogh. Come scrisse successivamente un critico d'arte,[1], egli semplificò i colori, istituendo forti contrasti, che l'amico e primo mentore, l'impressionista Pissarro, giustificò con il fatto che nei paesi tropicali come la Martinica la forma viene assorbita dalla luce, cosicché le sfumature di tono sono impercettibili e allora occorre ripiegare sui contrasti di colore, ma si tratta in realtà, per Gauguin, di una consapevole presa di distanze dalla pittura impressionista. Vincent van Gogh, giudicando quei quadri, vi trovò «un'immensa poesia [...] qualcosa di gentile, di sconsolato, di meraviglioso» e rilevò il «turbamento» di Gauguin di fronte al mancato apprezzamento delle sue opere.[2]
[modifica] La svolta di Pont-AvenRifiutato l'invito di van Gogh di andare a vivere ad Arles, Gauguin riparte nuovamente, nel febbraio 1888, per Pont-Aven. Della Bretagna e di Pont-Aven - oltre all'ampio credito che la pensione Gloanec, dove alloggia e allestisce lo studio, gli accorda - lo attira «l'elemento selvaggio e primitivo. Quando i miei zoccoli risuonano su questo granito, sento l'eco attutito e potente che vorrei ottenere quando dipingo».[3]
In estate, Pont-Aven si popola di pittori e Gauguin viene raggiunto anche da Charles Laval. Conoscenza decisiva è però quella del giovanissimo Émile Bernard, che in agosto si reca da Saint-Briac nel villaggio bretone portando con sé alcune tele. Egli, insieme con l'amico pittore Anquetin, aveva elaborato un nuovo stile neo-impressionista.[4]
« Quando uno spettacolo naturale viene esageratamente accentuato, finisce per assumere un tono troppo realistico, così che colpisce i nostri occhi a detrimento della mente. Dobbiamo cercare di semplificarlo per poterne penetrare il significato. Io avevo due modi per ottenere tutto questo. Il primo modo consisteva nell'osservare la natura semplificandola al massimo, riducendo le sue linee a eloquenti contrasti, le sue sfumature ai sette colori fondamentali del prisma. Il secondo sistema consisteva nell'affidarsi alle idee e alla memoria, liberandosi da qualsiasi contatto diretto. La prima possibilità comportava una calligrafia semplificata che si proponeva di affermare il simbolismo inerente alla pittura, la seconda era l'atto della mia volontà, che esprimeva, con mezzi analoghi, la mia sensibilità, la mia immaginazione, la mia anima »
Già mesi prima, nel maggio 1888, il critico Eduard Dujardin[5] si era espresso in termini altamente elogiativi nei confronti della nuova espressione d'arte, che chiamò cloisonnisme ed attribuì esclusivamente ad Anquetin:
La visione dopo il sermone, olio su tela, 73x92 cm, 1888, Nat. Gall. of Scotland, Edinburgh « questi quadri danno l'impressione di una pittura decorativa, un tracciato esterno, un colore violento e di getto richiamano inevitabilmente l'imagerie e le giapponeserie. Poi, sotto il tono ieratico del disegno e del colore, s'intuisce una verità sorprendente che si libera dal romanticismo della passione, e soprattutto, poco a poco, la nostra analisi viene richiamata sulla costruzione intenzionale, razionale, intellettuale e sistematica [...] il pittore traccerà il disegno entro linee chiuse entro cui porrà diversi toni, la sovrapposizione dei quali darà la sensazione della colorazione generale ricercata, poiché colore e disegno si compenetrano a vicenda. Il lavoro di questo pittore è qualcosa come una pittura per compartimenti simile al cloisonné, e la sua tecnica risulterà una specie di cloisonnisme »
Gauguin è favorevolmente impressionato dallo stile di Bernard, come scrive a Schuffenecker il 14 agosto: «C'è qui il giovane Bernard che ha portato da Saint-Briac alcune cose interessanti. Ecco un individuo che non ha paura di nulla [...] I miei recenti lavori sono sulla buona strada; credo che vi troverete un tono particolare, o meglio una conferma delle mie indagini precedenti, la sintesi di una forma e di un colore che tiene conto solo dell'elemento dominante».
Gauguin fu colpito in particolare da un quadro dipinto da Bernard a Pont-Aven, Donne bretoni in un prato, che egli si fece offrire in cambio di una sua tela. Su uno sfondo verde e piatto, Bernard aveva accentuato i contorni delle masse delle figure e dei vestiti, senza modellare le forme, ottenendo così una forte astrazione dell'immagine. Il dipinto che Gauguin portò a termine nel settembre 1888, la La visione dopo il sermone, è certamente debitore del quadro di Bernard, che nei suoi Ricordi inediti[6] non manca di rilevarlo: nella La visione dopo il sermone, Gauguin «aveva semplicemente messo in atto non la teoria colorata di cui gli avevo parlato, ma lo stile precipuo delle mie Donne bretoni in un prato, dopo aver stabilito un fondo del tutto rosso in luogo del mio giallo-verde. In primo piano mise le mie stesse grandi figure dalle cuffie monumentali di castellane».
Gauguin si disse invece convinto di aver fatto qualcosa di assolutamente nuovo, che segnava il suo cosciente abbandono della maniera impressionista. Spiegava che il dipinto rappresentava delle donne che, dopo aver ascoltato il sermone del loro parroco, immaginavano di assistere all'episodio biblico: «il paesaggio e la lotta dei due contendenti esistono solo nell'immaginazione di questa gente che prega, è il risultato del sermone. Ecco perché vi è un contrasto fra quelle donne reali e la lotta di Giacobbe e l'angelo inserita nel paesaggio, che resta irreale e sproporzionata».[7]
Pissarro, da parte sua, criticò l'opera per mancanza di originalità e per aver fatto un passo indietro rispetto alle moderne tendenze, rimproverandogli di aver «rubacchiato ai pittori giapponesi, ai bizantini e ad altri; gli rimprovero di non aver applicato la sua sintesi alla nostra filosofia moderna, che è assolutamente sociale, anti-autoritaria e anti-mistica».[8]
[modifica] Il sintetismoNel nuovo stile di Gauguin - il cloisonnisme o sintetismo - il colore si chiude in zone, così che la scena si presenta in superficie e si annulla ogni rapporto tra spazio e volumi. Allo stesso Bernard, a proposito dell'uso delle ombre, Gauguin scrive:[9]
Il Cristo giallo, olio su tela, 92x73 cm, 1889, Albright-Knox A. G., Buffalo. « Guardate i giapponesi, che pure dipingono in modo ammirevole e vedrete una vita all'aria aperta e al sole, senza ombre. Usano i colori solo come combinazione di toni, di armonie diverse [...] voglio staccarmi quanto più è possibile da qualsiasi cosa che dia l'illusione di un oggetto, e poiché le ombre sono il trompe-l'oeil del sole, sono propenso a eliminarle. Ma se una sfumatura entra nella composizione come forma necessaria, allora è diverso [...] Così, mettete pure delle ombre, se le giudicate utili, oppure non le mettete: è la stessa cosa, se non siete schiavi dell'ombra. È piuttosto questa che deve essere al vostro servizio »
Per evitare, dipingendo all'aperto, di essere condizionato dagli effetti di luce, dipinge a memoria, semplificando le sensazioni ed eliminando i particolari; di qui l'espressione di una forma, più che sintetica - giacché ogni forma in arte è sempre necessariamente sintetica - sintetistica, perché volutamente semplificata. Egli rinuncia anche ai colori complementari che, se avvicinati, si fondono e preferisce mantenere ed esaltare il colore puro: «Il colore puro. Bisogna sacrificargli tutto».[10]
Tuttavia egli non porta alle estreme conseguenze questa concezione, perché l'uso di soli colori puri avrebbe distrutto spazio e volumi e allora attenua l'intensità delle tinte: ne deriva il tono generalmente «sordo» e un disegno piuttosto sommario, come confida a Bernard: «La mia natura porta al sommario in attesa del completo alla fine della mia carriera». Evita anche di cadere nella triviale decorazione, come spesso accade all'Art Nouveau che origina da quegli stessi presupposti, racchiudendo «nelle sue superfici decorative un contenuto fantastico, onde creò il simbolismo pittorico».[11]
Il Cristo giallo, dipinto nel 1889, è un chiaro esempio di come concepisca la sua arte: «La forma sommaria del Cristo rappresenta abbastanza bene l'opera popolaresca, ma è appunto sommaria, non messa a punto per sostenere il rapporto delle tinte pure. L'interesse dell'artista è altrove, nel color giallo dell'immagine in rapporto con il giallo del fondo e con gli azzurri delle ombre, per esprimere la tristezza del paese, la sua aridità, il suo aspetto autunnale. Il simbolismo è dunque per Gauguin un modo di esprimersi indirettamente. Le scene della vita quotidiana sono un'occasione ora per un ritmo decorativo, ora per un motivo paesistico, e l'uno e l'altro alludono a uno stato di tristezza che dovrebbe accompagnare la vita religiosa».[12]
Il pittore Paul Sérusier, presente a Pont-Aven in quell'estate del 1888, apprese dallo stesso Gauguin una «lezione» di pittura impartita secondo il principio sintetistico, che così riassunse:[13]
« L'impressione della natura deve essere legata al senso estetico che seleziona, ordina, semplifica e sintetizza. Il pittore non dovrebbe fermarsi, finché non ha dato vita sotto forma plastica al frutto della sua immaginazione, nato dalla fusione della sua mente con la realtà. Gauguin insisteva sulla costruzione logica della composizione, sull'armonia di colori chiari e di colori scuri, sulla semplificazione delle forme e delle proporzioni, così da accentuarne i contorni con un'espressione eloquente e poderosa »
[modifica] Il dramma di Arles (1888) 260pxMiserie umane, olio su tela, 73x92 cm, 1888, Ordrupgaard M., CopenaghenIn quell'estate del 1888 Théo van Gogh stipula con Gauguin un contratto che garantisce al pittore uno stipendio di 150 franchi in cambio di un quadro ogni mese; lo invita poi a raggiungere il fratello Vincent ad Arles, in Provenza, pagandogli il soggiorno. Gauguin, non abituato a ricevere tanto denaro, non può rifiutare e il 29 ottobre 1888 raggiunge Arles.
Mentre van Gogh apprezza il paesaggio mediterraneo e dimostra grande ammirazione per il suo nuovo compagno, con il quale spera di fondare un'associazione di pittori, Gauguin rimane deluso della Provenza - «trovo tutto piccolo, meschino, i paesaggi e le persone», scrive a Bernard - e non crede possibile una lunga convivenza con Vincent, dal quale tutto lo divide: carattere, abitudini, gusti e concezioni artistiche: van Gogh «ammira molto i miei quadri, ma quando li faccio, trova sempre che ho torto qui, ho torto là. Lui è romantico, io invece sono portato verso uno stato primitivo. Dal punto di vista del colore, lui maneggia la pasta come Monticelli, io detesto fare intrugli».[14]
Vanno tuttavia insieme a dipingere i dintorni della cittadina: la Vendemmia (o Miserie umane) viene così descritta a Bernard:[15]
« Vigne rosse che formano triangolo verso l'alto giallo cromo. A sinistra, una bretone del Pouldu nero, grembiule grigio. Due bretoni abbassate dai vestiti blu-verde chiaro e corsetto nero. In primo piano, terreno rosa, e poveretta dai capelli arancione, camicia bianca e sottana (terra verde con del bianco). Il tutto eseguito a grandi tratti riempiti di toni quasi uniti con una spatola molto spessa su grossa tela di sacco. È un effetto di vigne che ho visto ad Arles. Ci ho messo delle bretoni: tanto peggio per l'esattezza. È il mio quadro più bello di quest'anno e appena sarà asciugato lo manderò a Parigi »
Gauguin fa anche un ritratto di van Gogh, intento a dipingere gli amati girasoli, a proposito del quale Vincent esclama: «Sono certamente io, ma io divenuto pazzo». Quella sera stessa vi è un litigio violento in un caffè di Arles e van Gogh, ubriaco, scaglia il suo bicchiere contro Gauguin.
Scrive allora a Théo van Gogh di essere costretto, data la situazione, a tornare a Parigi. il 23 dicembre, secondo il racconto di Gauguin, van Gogh lo rincorre per strada con in mano un rasoio. Si volta e lo fissa: van Gogh si ferma e ritorna a casa dove, in preda a una crisi psicotica, si taglia un orecchio. Gauguin, che è andato a dormire in albergo, la mattina dopo trova i gendarmi che in un primo tempo lo fermano, accusandolo di aver ucciso l'amico, poi si rendono conto che van Gogh si è ferito da solo e dorme, e lo rilasciano. La vigilia di Natale Gauguin parte per Parigi.
[modifica] Il ritorno in Bretagna (1889)Durante i tre mesi passati a Parigi, riceve l'invito di esporre alla mostra dei XX tenuta nel febbraio 1889 a Bruxelles: vi spedisce dodici tele, ma i suoi dipinti, che rimangono tutti invenduti, con i loro prati rossi, gli alberi blu e i cieli gialli, provocano l'ilarità del pubblico ma l'apprezzamento del critico Maus: «Esprimo la mia sincera ammirazione per Paul Gauguin, uno dei coloristi più raffinati che io conosca e il pittore più alieno dai consueti trucchi che esista. L'elemento primitivo della sua pittura mi attrae come mi attrae l'incanto delle sue armonie. Vi è in lui del Cézanne e del Guillaumin; ma le sue tele più recenti testimoniano che si è avuta un'evoluzione rispetto a quelli e che già l'artista si è liberato da tutte le influenze ossessive».[16]
La belle Angèle, olio su tela, 92x72 cm, 1889, Musée d'Orsay, ParigiTornato in aprile a Pont-Aven, a maggio ritorna ancora a Parigi - in quell'anno, centenario della Rivoluzione, si teneva l'Esposizione Internazionale con l'inaugurazione della Tour Eiffel - per organizzare la mostra del Gruppo impressionista e sintetista nei locali del Caffè Volpini: vi partecipano anche Louis Anquetin, Émile Bernard, Léon Fauché, Charles Laval, Daniel de Monfreid, Louis Roy ed Émile Schuffenecker. Il critico Fénéon sostenne che Gauguin era influenzato da Anquetin - «un'influenza puramente formale, perché nelle sue opere abili e di gusto decorativo, non sembra circolare la minima emozione»[17] - mentre Albert Aurier rilevò in Gauguin, Bernard e Anquetin «una netta tendenza al sintetismo del disegno, della composizione e del colore, così come alla ricerca dei mezzi di semplificazione di espressione».[18]
Nessuno degli espositori, malgrado il nome dato al gruppo, era comunque un impressionista e infatti la mostra ebbe la disapprovazione dei «veri» impressionisti, Pissarro in testa. Così, senza che nessuno degli espositori fosse riuscito a vendere un solo quadro, Gauguin ritornò a Pont-Aven e di qui si trasferì in autunno nel vicino Le Pouldu, allora un minuscolo villaggio, anch'esso affacciato sull'Oceano.
Composto nel 1889 è, tra gli altri, La belle Angèle, ossia Angèle Satre, moglie del sindaco di Pont-Aven, dipinto lodato da van Gogh per quel «qualcosa di così fresco e, ancora, contadinesco, che è bello a vedersi». Il ritratto è iscritto in una sorta di cerchio magico, spostato a destra per far posto, a sinistra, alla raffigurazione di un idolo orientale, come a istituire un'analogia tra le due immagini e alludere a un'ansia mistica del pittore.
Egli è il leader incontestato di un gruppo di giovani pittori, Sérusier, Meyer de Haan, Roy, Charles Filliger, Laval, Maxime Maufra, ai quali s'impone tanto per il suo prestigio che per la sua maggiore età e per una sua certa arrogante durezza di carattere, ma non nasconde la sua amarezza per il mancato riconoscimento pubblico della sua arte. Vuole allontanarsi dalla Francia, dalla quale poco spera: fa domanda al governo francese per essere inviato come colono nel Tonchino, i territori indocinesi sottoposti dal 1884 a protettorato francese, ma la sua domanda viene respinta. Per intanto, nel gennaio 1890, torna a Parigi, ancora una volta ospitato da Schuffanecker.
[modifica] Parigi (1890 - 1891): Gauguin e il simbolismo Ondina, olio su tela, 92x72 cm, 1889, Museum of Art, Cleveland.Nella capitale conosce un inventore, un certo Charlopin, che gli offre, per un consistente gruppo di quadri, 5.000 franchi, una somma con la quale Gauguin potrebbe permettersi un lunghissimo soggiorno in qualunque terra tropicale, ma l'offerta non va in porto. Passa mesi febbrili, tra Parigi e la Bretagna, in cerca di compagni e di denaro.
Non sa neanche decidersi in quale paese andare, se in Tonchino prima o se poi nel Madagascar: infine opta per la Polinesia. Al pittore simbolista Odilon Redon, che gli ha fatto un ritratto e cerca di dissuaderlo a partire, scrive di aver «deciso di andare a Tahiti per finire là la mia esistenza. Credo che la mia arte, che voi ammirate tanto, non sia che un germoglio, e spero di poterla coltivare laggiù per me stesso allo stato primitivo e selvaggio. Per far questo mi occorre la calma: che me ne importa della gloria di fronte agli altri! Per questo mondo Gauguin sarà finito, non si vedrà più niente di lui».[19]
Dal novembre 1890, a Parigi, frequenta un gruppo di giovani pittori che, con il nome di «Nabis», profeti in ebraico, hanno dato vita a circolo di pittura simbolista, in gran parte debitrice dei principi sintetisti di Gauguin. Ne fanno parte Paul Sérusier, Denis, Pierre Bonnard, Ker-Xavier Roussel, Félix Vallotton e Édouard Vuillard, sostenuti da critici come Albert Aurier e Lugné-Poe e poeti e scrittori come Mallarmé, Jean Moréas, Maurice Barrès, Paul Fort e Charles Morice, il quale, dopo averlo descritto come uomo dal «grande viso ossuto e massiccio, dalla fronte stretta, dal naso non curvo, non adunco, ma come spezzato, con una bocca dalle labbra strette e senza inflessione, con delle palpebre pesanti [...] in cui una altezzosa nobiltà, evidentemente connaturata, si mescolava a una semplicità che confinava con la trivialità», testimonia dell'elogio dell'arte primitiva fatta da Gauguin in occasione di uno di quegli incontri:[20]
« L'arte primitiva parte dallo spirito e si serve della natura. L'arte cosiddetta raffinata parte dalla sensualità e serve la natura. La natura è la serva della prima e la padrona della seconda. Ma la serva non può dimenticare la sua origine e avvilisce l'artista lasciandosi adorare da lui. È così che siamo caduti nell'abominevole errore del naturalismo. Il naturalismo comincia con i greci di Pericle. Poi non si sono avuti più o meno grandi artisti che tra coloro che più o meno hanno reagito contro questo errore. Ma le loro reazioni non sono state che trasalimenti di memoria, bagliori di buon senso in un movimento di decadenza che prosegue ininterrotto nei secoli. La verità è nell'arte cerebrale pura, nell'arte primitiva; il più sapiente di tutti i paesi è l'Egitto. Là è il principio. Nella nostra miseria attuale non c'è salvezza possibile che nel ritorno sincero e consapevole al principio. E questo ritorno deve costituire la meta del simbolismo in poesia e in arte! »
La perdita della verginità, olio su tela, 90x130 cm, 1891, Chrysler Art Museum, Norfolk, USAL'intento di Gauguin non è tanto quello di presentarsi come l'iniziatore e il promotore della poetica simbolista, quanto quello di procurarsi la massima pubblicità e solidarietà in vista di una progettata vendita all'asta dei suoi dipinti, con il cui ricavato contava di poter finalmente salpare per le isole polinesiane. Egli infatti si preoccupa di dipingere una tela in pretto stile simbolista, La perdita della verginità, in cui una giovane, sulla quale posa una volpe, simbolo della lussuria, è adagiata su un paesaggio che nulla ha di naturalistico, al fondo del quale si svolge un corteo nuziale. Modella del dipinto fu la ventenne Juliette Huet, sua attuale amante, dopo il tentativo di Gauguin di stabilire una relazione con Madame Schuffenacker, che naturalmente portò all'interruzione dei rapporti con Émile Schuffenecker.
L'asta delle opere di Gauguin, tenuta a Parigi il 23 febbraio 1891, frutta più di 9.000 franchi, come comunica[21] alla moglie la quale, pur dovendo mantenere a Copenaghen cinque figli facendo traduzioni dal francese, non ottiene un soldo. L'asta era stata preparata da diversi articoli che esaltavano l'opera del pittore e fu seguita da un lungo articolo di Albert Aurier che consacrava Gauguin come capostipite del simbolismo in pittura.[22]
Dopo aver premesso che lo scopo dell'arte non può essere la diretta rappresentazione delle cose, ma delle «Idee», degli «Esseri assoluti», gli unici che abbiano una autentica realtà, di cui gli oggetti naturali sono soltanto «segni», compito dell'artista «ideista» è esprimersi mediante questi segni, sapendo che la realtà è solo l'idea. Dunque il segno rappresentato dal pittore nella tela non sarà un oggetto concreto, così come nella tela dovrà essere evitato ogni illusionismo fallace:
« È logico che l'artista rifugga dall'analisi per non incorrere nei pericoli della verità concreta. Ogni particolare in realtà non è che un simbolo parziale molto spesso inutile in rapporto al significato totale dell'oggetto. Di conseguenza, stretto dovere del pittore ideista è effettuare una selezione naturale tra i molteplici elementi che compongono l'oggettività, non utilizzare nelle sue opere che le linee, le forme, i colori generali e distintivi che servono a esprimere chiaramente il significato ideico dell'oggetto, piuttosto che qualche simbolo parziale che avalla il simbolo generale »
Natura morta con mele, pere e ceramica, olio su tela, 28x36 cm, 1890, Fogg Art Museum, Cambridge, Mass., USAForme, linee e colori potranno essere esagerati, attenuati o deformati, seguendo tanto la necessità dell'espressione dell'«Idea» che la propria visione artistica. L'arte simbolista sarà dunque ideista, perché espressione di un'idea; simbolista, perché esprime l'idea attraverso una forma, ossia un insieme dei segni; sintetica, perché questa forma dovrà essere generalmente comprensibile; soggettiva, perché ogni oggetto rappresentato non sarà un oggetto naturale, ma un segno dell'idea percepita dal soggetto, il pittore; decorativa, termine che in Aurier riassume il significato dell'arte che è insieme «soggettiva, sintetica e ideista».
Naturalmente, un artista, per essere all'altezza del compito di esprimere l'astratto significato di un oggetto dovrà avere un «dono sublime», riservato a pochi, un «dono dell' emotività così grande e così prezioso, da far rabbrividire l'anima di fronte al dramma sfuggente delle astrazioni»: se questo dono è concesso al pittore, allora «i simboli, cioè le Idee, sorgono dalle tenebre, si animano, si mettono a vivere di una vita che non è più la nostra vita contingente e relativa, ma di una vita abbagliante che è la vita essenziale, la vita dell'Arte». E concludeva che tale era l'arte di Gauguin, «grande artista di genio, dall'anima primitiva e un po' selvaggia».
L'articolo provoca la rottura dei rapporti di Gauguin con Bernard, che si considerava in qualche modo l'ispiratore di Gauguin, offeso per non essere stato invitato a esporre le sue opere all'asta e per non essere stato affatto citato nell'articolo dell'Aurier, e la reazione del vecchio impressionista Pissarro, che ironizza, in una lettera al figlio Lucien,[23] con il critico, rimproverandogli di non tener conto che quei segni, di cui l'Aurier parla, «devono essere più o meno disegnati. È anche necessario possedere un po' di armonia per rendere le idee e di conseguenza bisogna avere delle sensazioni per avere delle idee. Questo signore sembra prenderci per imbecilli!». E sul «cattolico Gauguin» Pissarro, da socialista e comunardo, è ancora più duro, dandogli del calcolatore e dell'arrivista:
« Gauguin non è un veggente, è un essere diabolico che si è accorto che la borghesia tornava indietro sotto le grandi idee di solidarietà che germogliano tra il popolo: idea incosciente ma feconda e la sola legittima! I simbolisti si trovano nella stessa situazione! Per questo bisogna combatterli come la peste! »
A marzo, grazie all'intercessione del figlio di Ernest Renan, Gauguin ottiene dal Ministro francese delle Belle Arti Rouvier il riconoscimento di «missione gratuita» del suo viaggio - in sostanza, la promessa di acquistare un suo quadro al suo ritorno in Francia - oltre a uno sconto sul biglietto di viaggio.
Il 23 marzo 1891 Gauguin saluta gli amici simbolisti in un pranzo tenuto nel loro ritrovo abituale del Café Voltaire di Parigi; il 4 aprile parte per Marsiglia dove, il 24 aprile, lo attendeva la nave per Tahiti. Da pochi giorni era morto Seurat; Renoir, a Parigi, conosciuta la partenza di Gauguin, commentò semplicemente: «Si può dipingere anche alle Batignolles».[24]
[modifica] A Tahiti (1891 - 1893) « Io partirò. Battello che dondoli l'alberatura
leva l'àncora verso la natura esotica! »
(Mallarmé, Brise marine)
Il viaggio da Parigi durò 63 giorni, a causa dei lunghi scali - a Bombay, a Perth, a Melbourne, a Sidney, a Auckland - effettuati lungo il percorso. Il 28 giugno 1891 Gauguin sbarca a Papeete, il capoluogo di Tahiti, presentandosi al governatore per specificargli la sua condizione di «inviato in missione artistica»; ha la sfortuna, due settimane dopo, di apprendere la notizia della morte del re dell'isola, Pomaré V, dal quale sperava di ottenere dei favori particolari: ora, invece, l'amministrazione passa in mani francesi.
Vahine no te tiare, olio su tela, 70x46 cm, 1891, Ny Carsberg, Copenaghen.Tahiti, dove per la prima volta sbarcò l'inglese Samuel Wallis nel 1767, divenne protettorato francese nel 1842 e fu annessa alla Francia nel 1880, con un atto firmato dal re Pomaré V. I tahitiani divenivano cittadini francesi e mantenevano la proprietà delle terre. L'emigrazione europea aveva condotto alla formazione di famiglie miste e introdotto modi di vita europei, allo sviluppo del commercio, della piccola industria, dell'agricoltura intensiva, e all'introduzione del culto cristiano, prevalentemente cattolico.
Vahine no te tiare (Donna col fiore), è un capolavoro: Gauguin[25]
« ama la bellezza squadrata, senza finezze, sicura e forte, delle donne di Tahiti; sente simpatia per la loro ingenua naturalità; è entusiasta dei toni caldi e ricchi della loro carne. Egli ama troppo la sua modella per sacrificarla al sintetismo; e perciò dipinge in modo sintetico ma non sintetistico.; la sua forma è tutta accenti, ma nulla che valga è tralasciato; e nulla è astratto, perché ogni linea e ogni tono son pieni di ammirazione e di gioia. Il doloroso, malefico Gauguin è scomparso. lontano dalla civiltà, oltre Papeete, nella foresta, egli ha ritrovato la sua calma, la sua umanità, la sua gioia. E con la sua gioia ritrova la giustezza del tono, scuro su chiaro, e l'armonia calma non più esasperata dei colori. Il giallo bruno delle carni, l'azzurro nero dei capelli e l'azzurro viola della veste (appena interrotti da qualche zona bianco-rosa) risaltano sul fondo chiaro, arancione in alto e rosso in basso, sparso di foglie verdi. E persino certe mancanze costruttive, proporzionali, volumetriche o luministiche, diventano qualità perché sottintendono freschezza o vivacità d'espressione, spontaneità creativa. Gauguin ha fatto opere belle come questa, ma non migliori »
Questo è il primo dipinto tahitiano di Gauguin a essere inviato in Francia e a essere esposto, nel settembre 1892, nella Galleria d'arte Goupil, deludendo però gli amici che si attendevano un quadro in pretto stile simbolista.
Ia Orana Maria, olio su tela, 114x89 cm, 1891, Metropolitan, New York.La capitale Papeete accoglie soprattutto funzionari francesi e le famiglie dei notabili indigeni, delle quali l'effigiata è un'esponente: non vi può essere, in quel luogo, l'espressione dell'autentica civiltà maori, dei genuini caratteri e dei ritmi vitali degli indigeni non ancora toccati dal dominante influsso coloniale, che possono essere rintracciati solo nei villaggi più lontani. Perciò, dopo qualche mese, insieme con la meticcia Titi, si trasferisce venti chilometri più lontano, a Pacca; lasciata poi anche Titi, troppo «civilizzata», va nel villaggio di Mataiea, dove si stabilisce in una capanna davanti all'Oceano: in un altro villaggio conosce la tredicenne Tehura, che accetta di andare a vivere con lui.
In Noa-Noa, la profumata - il racconto biografico e romanzato della sua scoperta dell'isola - scrive che «la civiltà mi sta lentamente abbandonando. Comincio a pensare con semplicità, a non avere più odio per il mio prossimo, anzi ad amarlo. Godo tutte le gioie della vita libera, animale e umana. Sfuggo alla fatica, penetro nella natura: con la certezza di un domani uguale al presente, così libero, così bello, la pace discende in me; mi evolvo normalmente e non ho più vane preoccupazioni». Non è proprio così, perché il denaro comincia a diminuire, dalla Francia non ne arriva altro e le comunicazioni epistolari sono lentissime.
In Ia Orana Maria (Ave Maria) opera una contaminazione fra cattolicesimo e religione orientale - le due figure di donne richiamano un bassorilievo del tempio di Borobudur, nell'isola di Giava - nell'ambiente paganeggiante dei Tropici. Ne scrive al de Monfreid: «Un angelo dalle ali gialle indica a due donne tahitiane Maria e Gesù, anch'essi tahitiani, una sorta di nudo rivestito dal pareo, specie di cotonina a fiori che si attacca come si vuole alla cintura. Sfondo di montagne molto scure e alberi in fiore. Strada viola cupo e primo piano verde smeraldo; a destra, delle banane. Ne sono molto contento».[26]
Manao tupapau, olio su tela, 73x92 cm, 1892, Albright-Knox Art Gallery, Buffalo.Nel marzo 1892 Gauguin scrive a de Monfreid[27] di essere stato ammalato: il suo cuore non va infatti come dovrebbe, e a Sérusier di essere alla fine dei soldi e di aver poche speranze di poterne ricavare, né a Tahiti né dalla Francia: giudica infatti i suoi quadri «brutti da tutti i punti di vista», tali da non poter essere accettati e venduti ai collezionisti parigini.[28] In compenso, si mostra più ottimista con la moglie, che gli chiedeva spiegazioni sulla sua lunga assenza, sostenendo di aver prodotto 44 tele molto importanti, dal valore presuntivo di almeno 15.000 franchi,[29] assicurandola che «quello che sto facendo qui non è mai stato fatto da nessuno e che in Francia non si conosce. Spero che questa novità potrà decidere in mio favore».[30]
Fra i suoi dipinti più noti di quest'anno e sul quale più si è dilungato nei suoi scritti è Manao tupapau (Pensa allo spettro, tradotto anche come Lo spirito dei morti veglia), dove ritrae Tahura sdraiata prona sul letto, con espressione terrorizzata.
In Noa-Noa scrive che, tornato a notte alta nella sua capanna, trovò «immobile, nuda, supina sul letto, gli occhi enormemente sbarrati dalla paura, Tehura mi guardava e sembrava non riconoscermi [...] Mi sembrava che una luce fosforescente uscisse dai suoi occhi dallo sguardo sbarrato. Non l'avevo mai vista così bella, soprattutto mai di una bellezza così commovente».
Alla moglie comunica[31] di star facendo un nudo di donna: «Una delle nostre giovani avrebbe paura di essere sorpresa in questa posizione (la donna qui no). Allora conferisco al suo volto un po' di terrore [...] Questo popolo ha, tradizionalmente, una grande paura dello spirito dei morti [...] Allora faccio così: armonia generale cupa, triste, spaventosa, che sembri quasi un rintocco funebre. Il violetto, il blu cupo, il giallo arancio. Faccio la biancheria gialla verdastra, prima di tutto perché la biancheria di questi selvaggi è diversa dalla nostra [...] in secondo luogo perché suggerisce la luce artificiale [...] in terzo luogo, questo giallo, combinandosi con il giallo arancio e il blu, completa l'accordo musicale».
Il fantasma dipinto in ossequio dei principi simbolistici è tuttavia inutile e disturba l'effetto che viene raggiunto per via puramente cromatica: tutte le spiegazioni sulla genesi del dipinto sono stati fatti a uso e consumo di coloro che pretendono di conoscere «il perché e il per come. Tuttavia, si tratta semplicemente di uno studio di nudo tropicale».[32]
Gauguin si preoccupa di comprendere e di documentarsi sulla credenze indigene e sulle loro manifestazioni artistiche: trova oggetti d'uso comune, decorati con motivi geometrici che richiamano tuttavia le fattezze umane.
Lesse poi il Voyage aux Îles du Grand Océan di Jacques-Antoine Moerenhout, pubblicato nel 1837, trascrivendone stralci nel suo manoscritto Ancien culte mahorie. La triade divina della religione maori - che allora si credeva originaria dell'Indonesia - è costituita dal dio creatore Taaroa, dalla dea Hina, che richiama la luna e il ciclo naturale della vita, e dal loro figlio Fatu, la terra che anima ogni cosa ma rifiuta di concedere l'immortalità alle creature alle quali è concesso solo di generare e di perpetuarsi attraverso l'eterno ciclo della vita e della morte.
A Tahiti non esistevano rappresentazioni artistiche delle divinità, se non i tiki, gli idoli, sculture in legno rappresentanti divinità minori, utilizzate, fino all'arrivo dei missionari, alla fine del Settecento, a segnare i recinti (i marae) ove si svolgevano i riti sacrificali. Secondo il Moerenhout, i tahitiani utilizzavano lunghi legni avvolti da fibre vegetali, che rappresentavano gli atuas, i discendenti del dio Taaroa, fra le quali si inserivano delle piume rosse: queste piume erano l'immagine di Taaroa.
Gauguin creò sculture in legno e in ceramica rappresentando dei e idoli maori, senza scrupoli filologici, ma operando una contaminazione di motivi iconografici, ridando in qualche modo vita a immagini della tradizione religiosa tahitiana in via di estinzione, raggiungendo «il fine di ridare forma e speranza a una società sul punto di morire».[33] Così, l' Idolo con la perla «ha i tratti del Buddha seduto assalito da Mara (il diavolo della religione buddhista) di un rilievo di Borobudur; la perla rappresenta il terzo occhio, la visione interiore».[34] Oviri (Selvaggio), ceramica realizzata a Parigi nel 1894, prima della partenza per il secondo e definitivo viaggio a Tahiti, rappresenta la Tueuse (colei che uccide), una donna-mostro che schiaccia ai suoi piedi un lupo mentre con una mano si stringe al fianco un cucciolo di lupo: dunque è colei che uccide ma che dà anche la vita.
[modifica] Il ritorno in Francia (1893 - 1895) Aita Tamari vahina Judith te Parari, olio su tela, 116x81 cm, 1896, Coll. privata, Winterthur.Senza più denaro, carico di debiti, perché le tele inviate in Francia fruttano poco denaro, non può che desiderare di lasciare Tahiti: nell'aprile 1893 riceve 700 franchi inviatogli dalla moglie, appena sufficienti per saldare i debiti e pagarsi il viaggio di ritorno. A maggio lascia Tehura e il suo bambino nato il mese prima e, carico delle sue tele, s'imbarca per la Francia: il 3 agosto sbarca a Marsiglia.
Grazie al denaro inviatogli dagli amici Paul Sérusier e Daniel de Monfreid, può trasferirsi da Marsiglia a Parigi, dove affitta un piccolo appartamento e va al ristorante pagandosi i pasti con i quadri. La morte dello zio Isidore lo soccorre con l'eredità di 9.000 franchi e Gauguin può traslocare insieme con Annah Martin, una giovane cameriera mulatta, di origine giavanese - rappresentata nel dipinto Aita Tamari vahina Judith te Parari - in un alloggio-studio confortevole e arredato esoticamente, dalle pareti dipinte in giallo e in verde, dove accoglie gli amici del circolo simbolista.
Tiene una mostra nella Galleria Durand-Ruel, il cui catalogo avrebbe dovuto avere una presentazione scritta da Strindberg che tuttavia rifiuta, rimproverando a Gauguin di aver creato, con le sue tele tahitiane, «una nuova terra e un nuovo cielo, ma io non mi piaccio all'interno della nuova creazione, e nel vostro paradiso abita una Eva che non è il mio ideale»
A dicembre rende l'ultima visita alla famiglia a Copenaghen e nel maggio del 1894 ritorna nei suoi luoghi preferiti della Bretagna: il 24, a Concarneau, alcuni marinai rivolgono pesanti apprezzamenti alla sua compagna Annah; egli reagisce, ma viene picchiato e si frattura una caviglia. Come non bastasse, mentre è ricoverato in ospedale, l'amica Annah torna a Parigi, s'impossessa del denaro - non dei dipinti - e fa perdere le sue tracce.
Gauguin non era certo tornato in Francia per rimanervi: nuovamente deciso a partire per la Polinesia, organizza il 18 febbraio 1895 una vendita delle sue tele: il ricavo è modesto ma sufficiente per partire. Si imbarca il 3 luglio a Marsiglia e durante lo scalo a Aukland, interessato all'arte maori, visita il Museo etnologico. Raggiunta Papeete l'8 settembre, si trasferisce nel villaggio di Paunaania, dove affitta un terreno nel quale, con l'aiuto degli indigeni, si costruisce una capanna.
[modifica] Gli ultimi anni in Polinesia: a Tahiti (1895 - 1901) La donna dei manghi, olio su tela, 97x130 cm, 1896, Museo Puŝckin, Mosca. « Questo paese ci annoia, o Morte! Spieghiamo le vele!
Se il cielo e il mare sono neri come l'inchiostro,
I nostri cuori che tu conosci sono pieni di luce! »
(Baudelaire, Voyage)
Nell'aprile del 1896 Gauguin scrive al de Monfreid di avere appena dipinto
« una tela di 130 per un metro, che credo ancora migliore di quanto abbia fatto finora: una regina nuda, sdraiata su un tappeto verde, una serva coglie dei frutti, due vecchi, accanto al grosso albero, discutono sull'albero della scienza; fondo di spiaggia; questo leggero schizzo tremolante ve ne darà solo una vaga idea. Credo di non aver mai fatto con i colori una cosa di tanto grave sonorità. Gli alberi sono in fiore, il cane fa la guardia, le due colombe a destra tubano. A che pro inviare questa tela, se ce ne sono tante altre che non si vendono e fanno urlare? Questa farà urlare ancora di più. Sono dunque condannato a morire di buona volontà per non morire di fame »
Si tratta probabilmente della prima tela dipinta dopo il suo ritorno in Polinesia, Te arii vahrine (La donna del re) o La donna dei manghi, che insieme richiama, nella posa, le Veneri del Rinascimento - o la Diana di Lucas Cranach il vecchio in particolare - con il suo segno regale del ventaglio e il simbolo sensuale dei manghi, ma anche la Eva del giardino dell'Eden e dell'«albero della scienza»: un'immagine sincretistica dei miti religiosi di tutta la storia dell'Occidente che si fa mito e presenza concreta nell'Oriente maori, secondo la teoria della religione naturale che egli stava elaborando sulla scorta della lettura del The Natural Genesis del filosofo spiritualista inglese Gerald Massey.
No te aha oe riri?, olio su tela, 95x130 cm, 1896, Art Institute, Chicago.Di altro genere è il contemporaneo No te aha oe riri? (Perché sei arrabbiata?): Al di là del titolo, qui vi è la rappresentazione del lento ritmo della vita quotidiana delle indigene, e soprattutto l'espressione dei valori pittorici raggiunti da Gauguin: «La donna in piedi ha la forma del suo colore, ampia e sintetica, bene piantata: è una cosa della natura. La direzione trasversa del primo piano incide con quella parallela al piano di fondo della capanna: cioè la visione è in superficie, con suggerimento di spazio in profondità. Il rosso-viola della terra e del tetto e l'arancio-oliva delle carni si accordano con il verde azzurro dell'ombra e con il giallo luminoso della capanna. Padrone del suo modo di comporre e dei suoi accordi cromatici Gauguin produce con naturalezza, sicuro di sé».[35]
Esempio della concezione della pittura di Gauguin, per il quale il dipinto non è il semplice risultato di un complesso di percezioni trasferite sulla tela, ma è un messaggio dell'artista, la comunicazione di un pensiero, è, tra gli altri, Te tamari no atua (La nascita di Cristo, figlio di Dio). In tal modo si comprende come venga trasformata «la struttura impressionista del quadro in una struttura di comunicazione, espressionista».[36]
Te tamari no atua, olio su tela, 96x128 cm, 1895, N. Pinakothek, München.Il sonno e il sogno della ragazza si materializza nella tela con l'immagine della Sacra Famiglia tahitiana e del presepe; nello stesso tempo nella capanna è presente un totem dipinto, segno dell'unità sostanziale dei miti religiosi. La reale esistenza della giovane compagna dell'artista che attende un figlio e sogna la sua natività è abbinata alla concreta rappresentazione dei fantasmi del suo sogno, coerentemente alla teorizzazione della pittura di memoria, fatta da Gauguin. E poiché nella memoria i minuti particolari di una scena svaniscono e i colori si attenuano, essi non splendono e non vibrano sulla tela. Analogamente, «poiché l'immagine occupa uno spazio e un tempo interiori, non possono esservi effetti di luce: infatti la luce non incide ma emana dalle cose stesse, dal contrasto del corpo olivastro e della veste turchina col giallo chiaro del letto. Blu e giallo sono complementari, sommati danno il verde, e verdi sono le ombre della coperta, verdi e blu i toni dominanti nel fondo».[37]
La sua salute appare compromessa dalla frattura non risolta della caviglia, dalle numerose piaghe alle gambe e dalla sifilide: una degenza di due mesi in ospedale gli reca poco giovamento. Convive con la quattordicenne Pahura che, nel 1896 partorisce una figlia che tuttavia sopravvive solo un anno. Nel marzo del 1897 gli giunge dalla moglie anche la notizia della morte per polmonite della figlia Aline, avvenuta il precedente gennaio; da questo momento non avrà più notizie della famiglia.
Come reazione alla morte di Aline e alle vicissitudini di questo periodo Gauguin avrebbe dipinto di getto la tela Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo? nel dicembre 1897. Ne scrisse in diverse lettere inviate in Francia: in quella diretta nel luglio 1901 a Charles Morice volle chiarire il significato del quadro:
Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo?, olio su tela 139 x 374,5 cm, 1897, Museum of Fine Arts, Boston. « Dove andiamo? Accanto alla morte di una vecchia. Un uccello strano stupido conclude. Che siamo? Esistenza giornaliera. L'uomo d'istinto si chiede che significa tutto ciò. Da dove veniamo? Fonte. Bambino. La vita comune. L'uccello conclude il poema in comparazione dell'essere inferiore di fronte all'essere intelligente in questo grande tutto che è il problema annunciato dal titolo. Dietro a un albero due figure sinistre, avvolte in vesti di colore triste, pongono accanto all'albero della scienza la loro nota di dolore causata da questa scienza stessa in confronto con gli esseri semplici in una natura vergine che potrebbe essere un paradiso di concezione umana, abbandonatasi alla gioia di vivere »
E rilevava come, malgrado i passaggi di tono, l'aspetto del paesaggio fosse dato costantemente dal blu e dal verde Veronese. Inviato a Parigi ed esposto l'anno dopo, oltre a grande interesse a apprezzamento, ebbe la critica di essere astrattamente allegorico, espressione arbitraria di un'immaginazione metafisica. Ai suoi critici Gauguin rispose di aver voluto esprimere un sogno che, come tutti i sogni, non si lascia afferrare e non esprime allegorie, ma il cui oggetto era il mistero della vita, realizzato con il colore concepito alla maniera dei simbolisti: «il colore, che è vibrazione come la musica, sta per raggiungere ciò che vi è di più generale e dunque di più vago nella natura: la sua forza interiore».[38]
Racconti barbari, olio su tela, 130x89 cm, 1902, Folkwang M., Essen.Il dipinto di Gauguin richiama quello, esposto al Salon di Parigi nel 1890, di Puvis de Chavannes, Inter Artes et Naturam. Nello schizzo del dipinto che aveva inviato nel febbraio 1898 a Daniel de Monfreid aveva rappresentato i simboli cristiani della croce e del pesce, che nella tela sono in realtà assenti: di fatto Gauguin sembra esprimere la sua adesione al buddhismo - nella quale, in stadi successivi di perfezione, si raggiunge il nirvana - avendovi invece rappresentato chiari simboli buddhisti, come la dea Hina, che richiama le statue del Buddha, il daino che richiama il bassorilievo del tempio di Borobudur, nel quale Buddha è rappresentato come re dei daini e il fiore di loto.
Alla fine di quell'anno porta a termine anche il manoscritto L'Église catholique et les temps modernes, un attacco alla Chiesa cattolica, accusata di «falsificazioni e imposture», in quanto avrebbe tradito lo spirito originario del Cristianesimo. Secondo Gauguin, esiste un'unica verità in tutte le religioni, dal momento che tutte sarebbero fondate su un mito primigenio, dal quale si sarebbero poi differenziate. Si tratta allora di recuperare il significato autentico della dottrina cristiana «corrispondente così esattamente a anche in modo grandioso alle aspirazioni ideali e scientifiche della nostra natura», attuando così «la nostra rigenerazione».
Con un prestito di 1.000 franchi concessogli dalla Cassa agricola di Tahiti compra un terreno a Paunaania e si fa costruire una casa, ma i debiti, le malattie e la depressione l'11 febbraio 1898 lo spingono al suicidio: si avvelena con l'arsenico ma rigetta e si salva.
Il cavallo bianco, olio su tela, 141x91 cm, 1898, Musée d'Orsay, Paris.Considerata la necessità di guadagnare, si trasferisce a Papeete dove s'impiega, per sei franchi al giorno, come scrivano nel Ministero dei Lavori Pubblici finché, con il denaro pervenutogli dall Francia grazie alla vendita di suoi quadri, riesce a estinguere il debito con la banca, lasciare l'impiego e tornare nella sua casa di Paunaania, dove la sua compagna Pahura gli dà un altro figlio, Émile.
Un esempio di felice concordanza cromatica e compositiva è Il cavallo bianco: «I colori sono quasi derivati e quasi complementari: è un accordo di dissonanze. Nel ruscello l'acqua è di un azzurro che tende al viola con luci gialle che tendono all'arancio. Ora, l'azzurro-viola e il giallo arancio sono fra loro complementari. Ma il giallo tende troppo all'arancio e l'azzurro tende troppo al viola per essere assolutamente complementari. Suggeriscono l'accordo complementare senza realizzarlo e riescono a esasperare l'intensità dei due singoli colori. Parimenti, il verde del prato e il rosso del cavallo (nel fondo a sinistra) non sono completamente complementari, perché il rosso tende all'arancio, senza che il verde diventi verdazzurro. Anche l'effetto di tono è trattato alla stessa guisa. Il cavallo "bianco" è di un grigio sensibile, delicato, in cui si riflettono tutti i colori attornianti. In quell'abbassamento di tono c'è una delicatezza, fatta di finezza e di quiete, ch'è un suggerimento di luce, senza che l'effetto di luce sia realizzato».[39]
Nel 1899 comincia a collaborare con il settimanale satirico di Papeete Les guëpes (Le vespe), pubblicandovi articoli e vignette contro l'amministrazione coloniale francese, accusata di opprimere gli abitanti indigeni; in agosto pubblica a sua spese un altro giornale satirico, Le Sourire (Il sorriso), sempre in polemica con l'autorità. Per tutto il 1900 sembra non aver dipinto una sola tela: è certo che la sua salute è malferma e trascorre due mesi in ospedale. Ne esce nel febbraio 1901; venduta la sua casa, lasciata la famiglia tahitiana, il 16 settembre approda in una delle Isole Marchesi, Hiva Oa, stabilendosi nel villaggio di Atuana, dove compra dal vescovo Martin un appezzamento di terra su cui fa costruire la sua nuova casa di 60 metri quadrati, ritta su pali alti 2,40 metri.
[modifica] A Hiva Oa (1901 - 1903) Giovane tahitiana col ventaglio, olio su tela, 92x73 cm, 1902, Folkwang M., Essen.All'ingresso della sua casa, che chiama Maison du jouir (Casa del piacere), scrive in lingua maori Te Faruru, «Qui si fa l'amore», e la decora con pannelli in legno scolpiti - Soyez amoureuses, vous serez heureuses (Siate innamorate, sarete felici), Soyez mystèrieuses (Siate misteriose), Père Paillard (Padre Licenzioso), Thérèse, allusione ai costumi non irreprensibili del vescovo Martin e della sua perpetua Teresa - e, a ribadire la sua polemica contro il cattolicesimo, frequenta e ritrae il sacerdote indigeno Haapuani - che è costretto a esercitare di nascosto i suoi culti - e la moglie Tohotaua che ritrae rispettivamente ne Lo stregone di Hiva Oa e nella Donna col ventaglio, splendido e luminoso ritratto nei trapassi di tono del giallo dorato, dell'arancio e dell'ambra.
Anche nei Racconti barbari Tohotaua appare in primo piano, a incarnare la rappresentazione della religione maori, con al centro la rappresentazione di quella buddhista, mentre la figura alle loro spalle è l'immagine della religione cristiana, satireggiata nella figura dagli artigli e i tratti volpini.
Donne e cavallo bianco, olio su tela, 92x72 cm, 1903, M. of Fine Arts, Boston.La sua ostilità contro le autorità coloniali e la missione cattolica cresce al punto da fare propaganda presso i nativi perché si rifiutino di pagare le tasse e non mandino più i figli nella scuola missionaria: «La scuola è la Natura», proclama, e la sua opera di persuasione ha successo, tanto che la grande maggioranza degli abitanti dell'isola aderisce al suo invito. Egli denuncia un gendarme, tale Guichenay, accusandolo di favorire il traffico di schiavi e questi lo denuncia a sua volta, accusandolo di calunnia e di sovversione. Il 31 marzo 1903, il tribunale multa e condanna Gauguin a tre mesi di prigione.
Non sconterà la pena: la mattina dell'8 maggio il pastore protestante Vernier lo trova morto, disteso nel suo letto. Gauguin era ammalato di sifilide. Il vescovo Martin, accorso alla notizia, si preoccupa di distruggere quelle opere che giudica blasfeme e oscene: poi assolve la salma e gli concede una sepoltura senza nome nel cimitero della chiesa della missione, che appariva - immagine trascurabile e lontana, eppure incombente dall'alto - nella tela dipinta pochi mesi prima, Donne e cavallo bianco, una valle di paradiso naturale dove Gauguin volle fondere ancora in un'armonia senza tempo l'umanità e gli animali di Hiva Oa.
Pochi nativi assistettero alla sua sepoltura: presto dimenticata, la sua tomba fu ritrovata venti anni dopo e gli fu posta una lapide con la semplice scritta «Paul Gauguin 1903».
Iscriviti a:
Post (Atom)